Vaghe certezze.

 

Sopra gli scaffali della mia libreria, ma anche sul piano dello scrittoio, ultimamente si sono accumulati in modo disordinato decine di spartiti; e poi manuali di armonia e di teoria musicale, fino ad ammonticchiarsi là sopra anche numerose dispense attorno alle possibili interpretazioni delle note, insieme ai tanti altri libri, di qualsiasi tipo, riguardanti naturalmente il pianoforte e le guide pratiche per suonare del jazz. Ogni tanto cerco di consultare qualcosa tra tutte quelle pagine che ho acquistato con la mia bramosia di saperne di più, ma adesso ho la certezza che non avrò mai la possibilità materiale di studiare la maggior parte di quelle nozioni che sono riportate su tutta quella carta stampata. Non avrò mai il tempo che servirebbe per comprendere i tanti punti di vista, questo ormai mi è chiaro, perché le cose intorno a me purtroppo hanno preso a viaggiare ad una velocità superiore alle mie umane possibilità, ed io, specialmente in certi giorni, mi sento presa e risucchiata nella corrente di tutto ciò che di brutto e di bello mi sta succedendo negli ultimi tempi, senza riuscire a trovare dentro me stessa la possibilità di dirigere in autonomia la proiezione di questo ciclone di eventi. Sono preda di qualcosa che a tratti mi sfugge, ed allora mi agito, mi ribello, cerco di reagire, mi volto all’indietro nella speranza di decifrare meglio i miei passi.

Viene da me la Teresa, la nostra infaticabile cuoca, e con un’espressione severa, quasi senza dire neppure una parola, mi consegna una piccola busta ben chiusa, come se all’interno fosse contenuto un segreto o il risultato di chissà quale profonda riflessione. Prendo la lettera, la ringrazio, anche se non saprei neppure di cosa, poi, rimasta da sola, la apro con accuratezza ed anche con un minimo di titubanza. È un messaggio di Simone, suo figlio, che si scusa di quanto accaduto, e in due parole sostiene di non sapere neppure lui come sia potuto succedere tutto quanto. Dice che adesso ha un lavoro fisso, ed infine mi ringrazia per non aver spifferato a nessuno il suo nome. Infilo subito quel foglio di carta in mezzo ai miei libri, in un luogo sicuro, e poi rifletto che in fondo non avevo neppure ripensato negli ultimi giorni a quella faccenda, forse solo perché oramai è diventata a mio parere soltanto una storia spiacevole da archiviare, senza nessuna spiegazione da cercare. Piuttosto, adesso che suonare con il gruppo jazz di Lorenzo mi ha preso tutto l’entusiasmo possibile, non vedo l’ora di ritrovarmi con gli altri ragazzi per provare ancora quei brani, e registrare più volte tutti quei pezzi che abbiamo composto, fino a quando non si mostri evidente l’aver tirato fuori il meglio possibile del nostro quintetto.

L’insegnante di Lettere oggi mi ha fermato nel corridoio della scuola, durante una pausa della mattinata, ma soltanto per dirmi, quasi sottovoce, che lei si sentiva orgogliosa dei miei piccoli successi musicali, pur provando una certa inquietudine per le tante strade a cui stavo dando prosecuzione. L’ho rassicurata come potevo, e lei mi ha detto comunque che i miei risultati negli studi non avevano mostrato comunque alcuna battuta di arresto; poi ha aggiunto che l’ultimo compito scritto mostrava, in mezzo alle mie parole, una maturità di pensiero che in precedenza forse non avevo mai manifestato. Quindi ci siamo salutate, ed ho lasciato di nuovo che Lorenzo, all’orario di uscita da scuola, mi accompagnasse fino alla fermata del mio mezzo pubblico. Lui lungo la strada ha parlato delle solite cose, ed io l’ho ascoltato con una certa attenzione, pensando distrattamente se fosse proprio lui il ragazzo con cui dare inizio ad una storia sentimentale. Ma subito dopo ho capito che questa idea non mi sembra proprio la migliore, anche se tutto in questo momento sembra spingerci l’uno verso l’altra. Probabilmente ha ragione la nostra insegnante: troppe cose si sovrapporrebbero confondendo in ambedue tutte le idee e gli entusiasmi; e forse era proprio questo che lei fra le righe mi stava suggerendo parlandomi nel corridoio. <<Ha ragione, signora Sarti>>, ho detto allora tra me stessa mentre dondolavo seduta sul mio mezzo pubblico. <<Il mescolarsi indistinto di tutte le idee non è un buon segnale. Bisogna far forza sulla nostra mente per cercare le cose migliori, piuttosto che lasciarsi andare alle tante forti emozioni>>. Poi sono rientrata a casa dei miei, ed ho salutato come sempre la mamma, prima di entrare nella mia stanza: <<sono ancora piccola>>, ho riflettuto dopo un momento; <<ci sarà tutto il tempo, da ora in avanti, per trovare delle certezze maggiori>>.

Bruno Magnolfi

Vaghe certezze.ultima modifica: 2021-12-19T17:30:00+01:00da magnonove
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