Orario di punta.

 

L’anziano maestro resta seduto davanti al suo pianoforte. La poca luce obliqua di quel pomeriggio, quella che riesce a penetrare in mezzo alle tendine legate in basso, ai fianchi, sopra ai vetri dell’unica finestra della stanza, regala un’immagine vaga di immobilismo, quasi si potesse trovare ogni elemento già presente là dentro, compresa naturalmente la figura del  musicista il quale adesso sembra stia consultando uno spartito tra i tanti, del tutto identico ad oggi anche tornando domani, o il giorno ancora seguente, oppure tra una settimana completa. Fuori dal davanzale, affacciandosi, si potrebbe agilmente osservare la strada principale di quel quartiere scorrere sotto, con la sua ordinaria vivacità, i suoi piccoli negozi aperti ai clienti, ed il normale traffico di macchine e di pedoni, praticamente proprio come in qualsiasi altro momento di ogni serata. Franca Neri si introduce in silenzio dalla porta già aperta, ma poi si ferma sopra la soglia, quasi nel rispetto di quella specie di meditazione in cui sembra raccolto il suo insegnante di pianoforte, quindi fa un leggero colpo di tosse, lui si volta subito verso di lei e le sorride, visibilmente contento.

Quindi l’uomo si solleva dalla panchetta, stringe con calore la mano della sua allieva, senza avvertire la necessità di pronunciare qualche parola, mentre la signora Clara, la governante del maestro Bottai, osserva loro due restando in disparte nel corridoio dell’appartamento. <<Sono contento>>, si decide a spiegare l’insegnante; <<ci speravo che lei tornasse, soprattutto per aiutarla ancora in vista dell’esame al Conservatorio, ma anche perché in questi giorni ho riflettuto a lungo sul suo modo di affrontare la musica, ed alla fine mi sono convinto che forse è quello giusto>>. Lei prende uno sgabello lì accanto, si siede: ha portato con sé un piccolo manuale di armonia, che subito mostra per evidenziare quali siano i suoi crucci e quanto abbia a cuore lo studio del pianoforte. Lontano da lì la musica in generale appare forse un caleidoscopio di immagini senza criterio, oppure un qualcosa che magari un senso lo ha facilmente trovato, regolandosi nella misura in cui è possibile venderne delle porzioni abbondanti, magari inseguendo con frenesia le mode del momento. Loro due non fanno parte di quella partita, studiano e continuano ad esercitarsi per altro, cioè per qualcosa che possibilmente riesca a delinearne uno scopo più alto.

<<Ho lavorato molto sulle scale esatonali>>, dice Franca; <<ed alla fine ho scoperto che se lascio scorrere le mie dita sulla tastiera, inseguendo i suoni che immagino spesso nella mia testa, alla fine mi ritrovo fuori dagli accordi consueti, come inseguissi d’istinto qualcosa che non è mai stato scritto su partitura>>. Il Bottai annuisce, lascia il posto alla sua allieva, poi con un gesto la invita a dimostrare immediatamente quello che ha appena sostenuto. Lei si siede, ed infila una serie di accordi ravvicinati al cui ascolto si perde immediatamente ogni centro tonale, mentre con la sua mano destra rincorre una specie di melodia dissonante, laddove la sinistra sottolinea il fraseggio di qualcosa che sembra già pura ricerca. Suona senza impeto, però con la sua calma va scalando i semitoni come se il cromatismo finale della scala diatonica fosse il suo unico scopo. Quindi termina, e senza guardare il maestro dice soltanto: <<è jazz contemporaneo; quello che si è avvicinato tantissimo alla musica colta, tanto da misurarsi con le composizioni più attuali>>.

Bottai non commenta, ha compreso benissimo l’interesse manifestato dalla sua allieva, e sa che non potrà mai essere la propria opinione a farle cambiare qualcosa di quei suoi propositi. Piuttosto, come se non ci fosse alcuna soluzione di continuità, e tutto quanto si mostrasse ascrivibile nel grande libro della musica seria, sceglie di aprire, come sempre ha fatto con Franca, uno spartito che adora, quello della Sonata n. 13 in la maggiore di Schubert, e con grande serietà e la solita fermezza, le chiede così di eseguirlo. Franca attacca di getto l’allegro moderato del primo movimento, e la lezione va avanti a lungo con qualche interruzione ma senza altri indugi, e quando risulta ormai terminata, la ragazza riprende il suo piccolo manuale di armonia jazz che aveva appoggiato momentaneamente sul mobile di lato, saluta rispettosamente il maestro, e poi va a raggiungere di nuovo la strada chiassosa, la città che si muove, il traffico serale nell’orario di punta.

Bruno Magnolfi

Orario di punta.ultima modifica: 2021-10-06T16:00:39+02:00da magnonove
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