Scansare gli equivoci.

 

“Tutto sembra muoversi di continuo troppo lentamente, come se ogni desiderio, ogni speranza, o anche qualsiasi tentativo messo in campo, mostrasse senza alcun dubbio la necessità di un tempo a dir poco esagerato, anche soltanto per fornire un semplice e definito esito. Ci sono individui in giro che provano continuamente qualcosa verso cui ripongono molte delle proprie speranze, e l’assenza, con l’andare delle cose, di qualsiasi risultato apprezzabile, almeno in tempi accettabili, rende ogni loro sforzo qualcosa di arido e di inutile. Sicuramente la popolazione spesso è composta anche da spiriti ormai quasi tutti falliti nell’attesa di una positiva conseguenza dei propri sacrifici, persone che risultano praticamente arenate nella spasmodica ricerca di qualcosa in cui forse credevano davvero, almeno inizialmente; qualcosa che negli anni non ha mai trovato per tutti loro neppure uno sviluppo qualsiasi, e verso cui i tempi di risposta alle proprie speranze e alle legittime aspettative si sono talmente allungati da non rivestire oramai più alcuna importanza. Per tutti questi però si profila a un certo punto il momento di accettare anche questa apparente disfatta, e coltivare così almeno in se stessi quanto magari non è risultato apprezzabile da altri”.

Il pensiero di Caterina, la cameriera attuale di casa Neri, nel momento in cui legge e rilegge con calma queste frasi che per lei appaiono illuminanti, è quasi racchiuso all’interno della semplice realtà tracciata da questo sociologo che è riuscito a scriverne un intero articolo, pubblicandolo sopra una rivista patinata femminile che lei sfoglia certe volte nei suoi momenti di pausa. Caterina non è più una ragazza, e nella sua solitudine non si sente per niente soddisfatta di quel mestiere che si è ritrovata a svolgere, ma nonostante questo non prova neppure ciò che potrebbe sembrare un legittimo e forte desiderio di miglioramento delle proprie condizioni lavorative. Il punto è che per lei il lavoro da portare avanti equivale alla ricerca del sostentamento, e non avendo particolari esperienze, e nemmeno dei titoli di studio, sa che nel futuro non potrà giungere a molto di più del ruolo che già riveste in questa fase. Però quando stava a casa con la sua anziana madre, nei bei momenti che poteva trascorrere assieme a lei, provava il desiderio irrefrenabile di disegnare a matita i propri sogni. Adesso, nella cameretta per la servitù che le hanno concesso da quando è a servizio nella villa dei Neri, sempre di più si ritrova a dare un seguito sopra dei fogli di carta alle immagini che sogna, illustrando tutto ciò che le rimane in memoria appena si sveglia ogni mattina. Certe volte le basta appena un attimo, e allora con due o tre semplici tracce prende nota di ciò che magari più tardi, con calma, torna poi a sviluppare in maniera migliore.

A casa di sua madre erano già molti i disegni che era riuscita a collezionare, tutti realizzati a matita sopra dei fogli di carta, tanto che qualche volta in quegli anni aveva anche cercato di farli vedere in giro a qualcuno che volendo avrebbe forse potuto valorizzarli. Ma non c’è stato mai un seguito significativo, e nonostante gli incoraggiamenti effettuati con grandi discorsi su questa sua interessante attività, di fatto le parole che tutti hanno sempre usato, le sono apparse della semplice aria fritta, che non porta certo da alcuna parte. Lei non si sente un’artista, né mira a diventare famosa per quei suoi ghirigori apparentemente forse poco significativi, però sa che c’è lei stessa dietro quelle piccole cose, sostanzialmente tutto ciò che i suoi sogni autonomamente le regalano quasi ogni notte. Forse, il signor Neri, se solo fosse a conoscenza della sua passione, potrebbe chiederle addirittura di lasciare subito il suo lavoro di cameriera alla sua villa. Ma a Caterina non interessa affatto che le venga riconosciuto del talento da qualcuno che probabilmente non riuscirebbe neppure ad apprezzarlo davvero; anche se prendere nota dei propri sogni, tracciando quelle espressioni e tentando certe descrizioni grafiche, forse ad una persona sensibile potrebbe addirittura piacere, riconoscendole magari il dettato, se non lo stile.

Poi ride in modo amaro tra sé, quando è da sola ed ancora non è il momento per iniziare il servizio a tavola, e riflette sempre più spesso che niente secondo lei avvicina le persone tra loro, neppure la sincerità con cui si cerca di trasmettere l’espressione di noi stessi, ed alla fine l’unica possibilità che rimane è proprio quella di trattenere per sé quegli sviluppi tracciati in qualche modo, ed evitare comunque, anche a scanso di equivoci, di parlarne con altri.

Bruno Magnolfi

Scansare gli equivoci.ultima modifica: 2021-10-08T15:59:30+02:00da magnonove
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