Semplice umidità.

 

Osservo un angolo di strada davanti a me, un posto proprio di fronte alla mia finestra, dove una larga chiazza di umidità, sopra al muro d’una vecchia abitazione accanto al marciapiede, sembra seguire i contorni di una forma nota, familiare, come di qualcosa forse già visto, chissà poi quando può essere stato, e chissà anche in quale altra situazione. Accanto a questa immagine che appare, si apre un giardinetto dietro una recinzione arrugginita: uno spicchio di verde formato soprattutto da rami secchi e da un tappeto di foglie cadute a terra, completamente lasciato a sé, senza nessuna cura. Certe volte riempio il mio tempo immaginando qualcosa di falso davanti ai miei occhi, tanto da credere talvolta a delle cose irreali, inventate, del tutto impossibili. Il medico dice che non devo fantasticare troppo quando guardo qualcosa, perché la mia fantasia, secondo lui troppo spiccata, finisce sempre per portarmi fuori dai giusti binari, quando invece dovrei cercare di avere dei pensieri maggiormente realistici. Ho sempre pensato di avere la possibilità di disegnare tutto quello che vedo e mi colpisce, almeno in qualche occasione, piuttosto che descriverlo a voce alta ogni volta che il dottore torna per visitarmi e pormi le sue domande, ma non sono mai riuscito con la matita a riportare davvero sulla carta quanto mi ritrovo di fronte, forse anche perché non ho mai provato seriamente neppure a farlo. Gli dico qualcosa, dopo le sue lunghe, profonde insistenze, magari gesticolando addirittura con le mani per rendere meglio l’idea, ma infine non credo che lui comprenda perfettamente le mie descrizioni. Soprattutto secondo me non è capace di vedere le cose così come le vedo io, e di questo in fondo me ne dispiaccio, perché così dimostra di non riuscire ad essere mai davvero in sintonia con le mie affermazioni.

Quando il dottore se ne va io resto seduto mentre agito una mano per salutarlo, ed una volta rimasto da solo dopo poco tempo riprendo la mia minuziosa osservazione dalla finestra di quel giardinetto di fronte, soffermandomi su dei particolari che adesso mi pare di non aver mai neppure notato in precedenza. Ogni volta comunque trovo nell’immagine scura sul muro e nella chiazza di umidità persistente qualcosa di diverso. A me sembra persino sollevarsi direttamente dalle fondamenta, quella grossa macchia, scorticando in qualche piccola zona l’intonaco vecchio e cadente, e lasciando nella parte più bassa un sentore come di calcinacci sfarinati e senza più consistenza, quando invece nella zona più in alto la sua forma sembra mostrare una medusa gigante pronta a soffiare via l’acqua da dentro il suo ombrello, e sollevarsi in aria come se fosse immersa in un mare filtrato di sole, verde e trasparente, spingendosi con tutta la forza della sua voglia di essere, verso i piani più alti del caseggiato giallo e polveroso. Il medico ha detto che le cose che osservo sono soltanto quello che sono, e che non ci devo vedere nient’altro, ed io gli credo, questa è la sua medicina, anche se forse non è del tutto adeguata al mio caso.

Questo non gliel’ho mai detto comunque, e magari non l’ho fatto soltanto per una sorta di dispiacere che potrebbe provare nell’ascoltare da me qualcosa che contrasta direttamente con le sue idee fondanti. Mi limito quasi sempre ad annuire quando mi parla, e ad assicurargli che farò tutto ciò che lui mi dice di fare, tanto che osserverò, d’ora in poi, soltanto per quello che sono tutte le cose che mi restano davanti, anche se penso che forse mi potrà risultare quasi impossibile farlo davvero. La mia medusa purtroppo si innalza oltre il muro della casa di fronte e si incarna rapidamente in una bassa nuvola grigia di passaggio, mentre io resto imbambolato nel rendermi conto di quanto la realtà disveli le sue immagini così facilmente. “Può vederle anche lei”, dico poi oggi al dottore. “Basta che osservi i contorni delle cose. Quella macchia d’umido ad esempio”, ma lui si arrabbia, dice che sono testardo, che non voglio mai collaborare. “Non c’è niente sul muro, nient’altro che umido”, mi fa. Mi dispiace, non vorrei mai irritarlo, forse ho addirittura esagerato; però adesso non vedo l’ora che se ne vada da qui, proprio per restare da solo a guardare ancora da quella parte, e capire quale sarà lo scopo finale della medusa, mentre prosegue ad arrancare imperterrita verso le parti che le rimangono davvero più in alto.

Bruno Magnolfi

Semplice umidità.ultima modifica: 2021-02-05T20:55:04+01:00da magnonove
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