Migliori cose da fare.

 

La Scuola Media di via Toscanini, un grosso edificio risalente agli anni ’20, che soltanto nel secondo dopoguerra era stata intitolata a Giosuè Carducci, nel periodo in cui la frequentavo come studente riportava questo nome in grande persino sulla facciata, al posto di chissà quale altro, probabilmente sostituito di fretta negli anni della ricostruzione, tanto che si intravedeva ancora affiorare qualche sbavatura delle vecchie lettere sopra il portone principale, facendosi notare qua e là come per ricordare l’antica e originale presenza di chissà quale illustre personaggio di un’epoca ormai già trascorsa. A me la scritta del nome di questo poeta, comunque, forse per quei caratteri in stampatello minuscolo che non avevo mai del tutto imparato a scrivere, incuteva un senso di disagio, quasi che nello stesso momento in cui varcavo la soglia di quell’ingresso, entrassi nella casa di un vecchio signore un po’ austero che ovviamente mi osservava passare con severità, mostrando un giudizio già negativo su qualsiasi possibile risultato scolastico avessi mai potuto raggiungere, compresa naturalmente la condotta. A me non importava neanche molto rimanere seduto al mio banco per tutta la mattina, qualcosa però avrei dovuto pur fare pensavo, ma quello che mi interessava maggiormente era che i miei compagni non si accorgessero troppo della mia presenza, tanto da scegliere sempre i posti più defilati, quelli negli angoli in fondo alla classe, osservando tutto il resto da quel punto di osservazione come se non fossi neanche presente.

Per questo esatto motivo cadevo sempre un po’ dalle nuvole nel momento in cui uno degli insegnanti diceva a voce alta il mio nome per richiamare maggiormente a sé la mia evanescente attenzione, e a me sembrava persino impossibile dover ripiombare così in un solo attimo in mezzo a tutti gli altri compagni, come se davvero fossi uno di loro, e non un estraneo come mi sentivo quasi sempre, capitato là dentro per un puro caso. Parlavo poco con gli altri, anche durante le pause della ricreazione, e quando venivo interrogato dai professori su qualche materia che avrei dovuto conoscere, tendevo a non dire mai troppo di ciò che avevo imparato, mostrandomi meno preparato di quanto fossi effettivamente. Naturalmente i miei risultati erano appena sufficienti, però se anche non riuscivo a brillare in quelle materie, gli altri studenti della mia classe parevano apprezzare la mia riservatezza, al punto da tollerare la mia presenza insieme a loro anche se non intervenivo mai per dire la mia opinione su quanto veniva discusso. La nostra insegnante di storia e geografia, al contrario degli altri, trovava il mio comportamento distaccato del tutto insopportabile, tanto da indicarmi continuamente con un dito mentre parlava, oppure riferendosi direttamente a me col suo sguardo pungente, o dicendo ogni poco il mio nome per far scrollare qualsiasi apatia dalla mia mente. Ed arrivò fino al punto di far sistemare un banco singolo direttamente accanto alla propria cattedra, voltato verso di lei, in maniera che durante le sue ore di lezione dovessi per forza prestare il massimo di attenzione alle sue parole, senza potermi distrarre neppure un momento.

Ho sempre avuto il dubbio che dietro a tutto questo ci fosse un accordo segreto con i miei genitori, ma la verità non l’ho mai saputa, forse anche perché non me ne sono mai interessato fino a quel punto. Tra i miei compagni c’era sempre qualcuno che prendeva il mio comportamento per semplice timidezza oppure per goffaggine, ma alla lunga la mia serietà d’espressione e la distanza osservata nei confronti di tutti, riportavano sempre ogni atteggiamento verso un più normale rispetto. Non mi sono mai sentito davvero un allievo di quella scuola. Ero soltanto un ragazzo che passava per caso da quelle parti, uno che sicuramente aveva molto da imparare, ma che avrebbe voluto farlo in una maniera più distaccata da quella socialità obbligatoria. Ovviamente amavo leggere e studiare, ma tutto quanto riuscivo ad apprendere dalla carta stampata dei libri, ero convinto di doverlo trattenere dentro di me, piuttosto che darlo in pasto all’aula intera durante ogni stupida interrogazione. Per tutti questi motivi poi, riuscivo a farmi affibbiare un voto basso persino in condotta, non certo perché fossi un attaccabrighe o un confusionario, quanto perché il collegio degli insegnanti aveva stabilito che io fossi regolarmente quasi assente nel normale procedere delle lezioni, e questo naturalmente per loro era apparso fin da subito qualcosa di insopportabile.

Conobbi una ragazza di una diversa sezione, durante l’ultimo anno, e lei mi fece comprendere che in fondo avevo ragione: nessuno in quella scuola meritava qualcosa di più della mia bassa considerazione, e non aveva alcun senso dare troppa importanza ai giudizi degli altri; potevo ancora fregarmene, insomma, ed era questa, forse, la cosa migliore da fare.

Bruno Magnolfi

Migliori cose da fare.ultima modifica: 2022-09-05T15:48:10+02:00da magnonove
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