Evitare ulteriori problemi.

 

La mamma quella volta mi aveva incoraggiato ad uscire di casa, a raggiungere i miei amici che sicuramente secondo lei erano già sulla strada come sempre a scambiarsi le figurine o a tirare sassetti a qualcosa. Ma io mi ero limitato ad accostarmi alla finestra socchiusa, e dal piano terra dove abitavamo avevo subito visto Carlo e Sandro fermi di spalle sul marciapiede a parlare sottovoce di qualcosa. Avevo cercato di comprendere le loro parole senza farmi scorgere, e così all’improvviso mi era giunto all’orecchio proprio il mio nome. <<Però non ci si può mai fare affidamento>>, dicevano i due. <<È strano>>, sosteneva Carlo, <<io tante volte neppure lo capisco>>. Poi facevano una pausa, come per accordarsi su qualcosa mostrando una profonda riflessione. <<Però Adriano è uno di noi>>, concludevano, <<non possiamo metterlo fuori proprio adesso>>. Decisi di uscire per comprendere meglio quale fosse l’argomento che stavano affrontando, anche se mi sentivo quasi offeso di ciò che avevo ascoltato fino a quel momento. Loro mi salutarono come sempre, mentre quasi da fermi stavano assestando qualche pigro calcio ad un vecchio pallone ormai bucato e sgonfio. Ci appoggiammo tutti e tre al muro, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, osservando qualcosa dalla parte opposta della strada, poi Sandro disse che uno di quei pomeriggi ci sarebbe stato da scontrarsi con quelli di via Verdi. <<Sono in numero maggiore, perciò dobbiamo studiare una strategia>>, aggiunse. Annuii, nell’attesa di qualche altro chiarimento, ma loro sembravano non avessero altro da dirmi.

Lasciammo trascorrere una manciata di minuti così, come se il tempo non avesse valore, poi io provai un senso di estraneità a quei pensieri, qualcosa che mi portò di getto a dire ai miei due amici che adesso purtroppo dovevo proprio rientrare in casa, perché avevo promesso di aiutare la mamma a fare qualcosa che naturalmente inventai sul momento. Loro non dissero niente, però si guardarono un attimo, e senza cercare di trattenermi mi salutarono nella maniera più stringata possibile. Naturalmente non mi interpellarono più per i loro piccoli scontri tra bande, ed anche se nei mesi successivi sembravano ogni volta accettare la mia presenza sulla strada con loro, di fatto difficilmente mi parlavano in modo diretto, magari per spiegarmi qualcosa, oppure per pormi delle domande. Tutto questo a me non dispiacque neppure troppo, e per molti giorni pensai che ognuno in fondo a sé possedesse una propria precisa personalità, ed anche nei piccoli gesti di ogni giorno risultasse assolutamente capace di darne una chiara dimostrazione. A seguito di queste giornate, mio padre, con qualche sacrificio economico, riuscì a regalarmi una bicicletta, ed io scoprii in fretta che potevo spingermi alla scoperta di altre strade oltre quella dove abitavo.

Iniziai col fermarmi, sempre però con qualche scusa plausibile, controllando qualcosa dei freni o della catena, ad esempio, davanti alla casa dove abitava una bambina quasi della mia stessa età, che certe volte incrociavo quando si entrava o si usciva da scuola. Cinzia, mi pare si chiamasse, e siccome si capiva subito da lontano che la sua principale caratteristica era la timidezza, questo fatto mi portò a sentirla vicina, affine a me, quasi simile. Lei certe volte stazionava davanti al proprio portone di casa a parlare con una sua amica, così quando io fermavo la mia bicicletta, subito l’altra, inventando qualcosa da fare, si allontanava, permettendo di avvicinarmi un po’ a Cinzia. Lei disse che mi vedeva certe volte quando usciva da scuola, ma purtroppo io ero quasi sempre circondato dai ragazzi più grandi, e lei per questo motivo non provava neppure a salutarmi. A queste frasi mi sentivo lusingato, ma non sapevo mai bene che cosa rispondere, così mi limitavo a sorridere e rimanere in silenzio, come per dare già quasi scontato il fatto che il suo comportamento fosse comunque ben calcolato, giusto, efficace, ma che in ogni caso avrebbe anche potuto farmi un piccolo cenno se ne avesse proprio avuta la voglia.

<<Va bene, Adriano>>, mi disse allora di colpo lei come scherzando; <<però anche tu potresti salutarmi per primo>>. Poi si fece rossa sulle sue guance morbide, ed io per tranquillizzarla le dissi che ero assolutamente d’accordo, e che le cose avrebbero dovuto cambiare, sicuramente proprio nel modo che lei desiderava. Di fatto non so spiegarne neppure adesso il motivo, ma dopo questo scambio di idee smisi di andare in bicicletta lungo quella sua strada, e quando qualche volta incrociai lo sguardo di Cinzia sul largo piazzale antistante il nostro edificio scolastico, finsi decisamente di non vederla neppure, evitando così di affrontare qualsiasi ulteriore problema.

Bruno Magnolfi

Evitare ulteriori problemi.ultima modifica: 2022-08-21T18:49:29+02:00da magnonove
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