Prima del tempo.

 

Il mio lavoro è monotono. Si tratta di assistere per otto ore una macchina che attorciglia continuamente dei filamenti per farne delle bobine. Sempre uguale. Così qualche settimana fa mi sono messa a fare la stupida con il capoturno. Lui ha abboccato immediatamente, perciò siamo rimasti nel capannone per degli straordinari, ed alla fine ci siamo dati da fare nello spogliatoio. Le altre donne della fabbrica adesso mi guardano male. Così ho deciso di smettere, anche perché lui naturalmente è sposato, ed io non voglio cercarmi dei guai. Però non mi molla. Ogni poco viene a girare intorno alla mia postazione di lavoro, e mi dice qualcosa. Sorride, pensa di tenermi nel pugno, così attende che una di queste sere ci ricaschi. In fabbrica non siamo tantissimi, e comunque ci sono più donne che uomini. E i discorsi, anche durante le pause, oppure all’ora del pranzo, sono sempre gli stessi. Forse non abbiamo veramente niente da dirci, oltre a lamentarci di questo e di quello; riusciamo soltanto a formulare le solite frasi per fingere di scambiarci qualche pensiero.

La mia macchina fedele comunque prosegue a sfornare bobine, ed io a guardarla senza nessun interesse. Quando vado a casa continuo quasi a vederla mentre attorciglia i filamenti con i suoi movimenti meccanici stabiliti da qualche ingegnere che non potrò mai conoscere. Tengo spesso lo sguardo a terra, forse per abitudine, e quando sono con mio padre e mia madre, anche a tavola durante la cena, non ho mai voglia di parlare di qualcosa, nemmeno di quello che potrei fare nei prossimi anni. Il fatto è che me la prendo con tutti per avermi incastrato a svolgere nella vita un ruolo da idiota. Non è tanto il lavoro che mi deprime, quanto la consapevolezza che niente potrà mai cambiare. Se penso al futuro non vedo niente.

Poi il capoturno viene da me e dice che dobbiamo vederci dopo il lavoro. Gli dico di no, che tra noi è una storia finita, ma lui insiste. Capisco che mi sono messa dentro un pasticcio, e che lui non smetterà facilmente di ronzarmi dintorno. Cerco di non farmi sorprendere mai mentre sono da sola, ma è complicato. Non posso neppure chiedere aiuto a qualcuno, le altre donne hanno un’opinione precisa, ed anche a parlarne non saprei proprio con chi. Negli ultimi giorni mi viene quasi da piangere per la rabbia che provo. Non ce l’ho con nessuno alla fine, se non con me stessa. Le altre ragazze del lavoro sono quasi tutte sposate e almeno hanno qualcosa da tirar su. Io non ho niente, se non tante giornate pressoché identiche. Un tempo avevo pensato di farmi mettere incinta per avere un bambino da crescere, ma poi mi è parsa un’idea stupida.

Le bobine di filo invece proseguono ad arrotolarsi davanti ai miei occhi. Stacco la macchina, tolgo la puleggia, inserisco i nuovi capi e poi via, un altro bel giro di giostra. Mentre sono lì arriva lui. Mi dice le solite cose, ma adesso ha lo sguardo cattivo, come di chi pretende le cose per forza. Mi fa capire che se continuo in questo modo mi farà sicuramente passare qualche guaio con il superiore. A lui ci vuol niente, basta dire che non sono attenta, che tralascio qualcosa, lavoro male, ed io non posso difendermi. Non gli rispondo neppure, proseguo con le mie cose e poi basta.

Ogni tanto da noi si fa vedere il proprietario di tutta la baracca, getta un’occhiata dappertutto, saluta gli operai e poi si ferma a parlare con i capiturno. Possiede un’altra lavorazione un po’ fuori mano, dove sono occupati altrettanti dipendenti come da noi. Mi passa davanti con la sua camicia bianca mentre sto in pausa. <<Scusi>>, gli faccio, <<avrei da farle una domanda>>. Lui si mostra cortese, così mi fa entrare in ufficio, e quando siamo da soli gli dico di colpo che vorrei cambiare la mia attività. Lui prende gli incartamenti che mi riguardano, dice che sono già quattro anni che lavoro con quella mansione, e io gli dico che mi piacerebbe provare qualcos’altro, magari nel secondo capannone di sua proprietà. Naturalmente lui prende tempo, dice che ci deve pensare, però mi fa capire che generalmente, potendo scegliere, sarebbe meglio per me stare dove mi trovo. <<Vorrei cambiare>>, gli ribadisco, e con ciò esco da lì e torno alla macchina per le bobine. Dopo un’ora però lui si avvicina, da solo: forse ha capito quale sia il mio problema, penso mentre lo guardo; difatti dice soltanto: <<va bene>, con voce bassa, come se non si dovesse diffondere la notizia, almeno prima del tempo.

Bruno Magnolfi

Prima del tempo.ultima modifica: 2021-07-16T15:04:28+02:00da magnonove
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