Non rompetemi l’anima.

 

“Sono uno scemo, lo so”, dico a Tommi giù al circolino dove mi fermo qualche sera per farmi una birra. Lui mi sta servendo da dietro al bancone in un momento in cui non ci sono clienti, ed io gli spiego la storia. “Non rimango simpatico a nessuno sul lavoro. Ma questo solo perché me ne sto per i fatti miei, perché non mi piace stare con gli altri a ridere e farsi scherzi da deficienti. Così prendono la mia ampolla per il grasso (tutti ne abbiamo una per lubrificare gli utensili, e ci incidiamo sotto le proprie iniziali per non scambiarle), e con quella sporcano i calzoni di ricambio del tizio più grosso e aggressivo tra noi, facendogli trovare la mia ampolla sotto al suo armadietto che sta dentro gli spogliatoi. Il resto lo puoi immaginare, ed oggi naturalmente quello mi ha sfidato (“se sei un uomo”, mi ha detto) nel raggiungerlo domani all’officina in fondo per fine turno. Così domani devo farmi pestare per bene da un collega con cui non ho avuto proprio niente da spartire”.

“Va bene”, fa Tommi. “Però tu puoi fargli paura. Posso prestarti la mia scacciacani. E’ innocua, però lui non lo sa, e tu fai subito la figura di uno che non si fa certo mettere i piedi sopra la testa”. Ci penso un momento, butto giù un sorso di birra, poi dico: “perché no” tra di me, ma con voce piuttosto alta. Il mio amico sparisce sul retro dopo un attimo, e quando riappare ha una semplice busta con dentro l’arma giocattolo che osservo un momento senza neanche estrarla del tutto. Gli strizzo un occhio, pago la birra e poi me ne vado. Giù al lavoro intanto i ragazzi ridono senza guardarmi quando mi incontrano lungo il piazzale o nei capannoni, ma a me non interessa un bel niente e continuo a comportarmi come ho fatto da sempre. Qualcuno sarà subito contento quando l’orango mi avrà sbattuto per terra, però non ho proprio voglia di farmi fregare in questa maniera, penso cercando di caricarmi al massimo possibile.

Alla fine vado nello spogliatoio, mi sistemo per quello che posso fare, e poi lascio scivolare nella mia tasca il ferro di Tommi, riflettendo bene sul momento più adatto per spianarla alla faccia di tutti e fare in questo modo più impressione possibile. Nessuno dei ragazzi si immagina da uno come me una cosa del genere, ma in fondo non mi conoscono molto, e quindi posso farmi passare semplicemente per un tizio che non vuole rompimenti, ed in caso contrario è disposto anche a ripulire la strada prima di transitarla, perciò questa per tutti potrebbe essere, a mio modo di vedere, l’ultima volta che salta in mente a qualcuno di farmi uno scherzo del genere. In fondo mi sento tranquillo, se qualcuno si accorgesse che la mia arma comunque è soltanto una finzione, in ogni caso farei la bella figura di uno che si è impegnato a non far del male a nessun altro. Perciò, mani in tasca, sguardo alto e ben attento, camminata regolare, mi avvio verso l’officina come se nulla fosse, disposto ad aspettare almeno qualche momento prima di tirar fuori le mie carte.

Quando arrivo sembra ci siano già tutti, fermi e disposti a circolo, ed il toro infuriato che mi vorrebbe gonfiare sta in un angolo, voltando le spalle all’entrata, in senso di sprezzo e di sfida. A passi sempre più lenti raggiungo il centro dell’officina, le mani ancora sprofondate dentro le tasche, ed osservo l’orango come fosse il mio nemico di sempre, ma senza dare alla faccenda una grossa importanza; lui si volta, sorride, si avvicina, forse si aspetta che io inizi a parlare di qualcosa nel tentativo di ammansirlo o di venire a ragionevoli consigli, ma invece resto in silenzio, ed aspetto sia lui a dire la prima parola. “Sei un idiota”, fa subito tanto per provocare, ed io ancora in silenzio. “Ho voglia di spaccarti il naso”, ed intanto si avvicina. Quando ormai siamo a tre o quattro metri l’uno dall’altro tiro fuori con calma il mio ferro e gli fo luccicare negli occhi la canna dell’arma, trattenendo un’espressione calma e determinata. Lui resta di ghiaccio, scorre rapidamente quali possibilità gli possano rimanere, ma non ne trova. Allora, non volendo fare la figura del pauroso, fa ancora un passo verso di me, come a sentenziare che non avrò mai il coraggio di sparargli. Io tiro su la pistola e tiro un colpo in aria, rendendomi conto, dalla polvere che cade dal soffitto, che quella che ho in mano non è esattamente un giocattolo, e che per questo sto cambiando espressione. Tutti si dileguano in un attimo, ed anche l’orango se ne va quasi di corsa. “Vittoria”, dico a Tommi più tardi; “non sono uno scemo: da ora in avanti nessuno avrà più la voglia di rompermi l’anima”.

Bruno Magnolfi

Non rompetemi l’anima.ultima modifica: 2020-11-13T20:39:52+01:00da magnonove
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