Non deve succedere ancora.

 

“Lasciatemi stare”, urlo affacciandomi dal davanzale a tutti quelli che stamani si sono riuniti nel cortile sotto alla mia finestra. Sono soltanto i miei vicini di casa, quelli che abitano ai piani superiori, o anche nelle costruzioni accanto alla mia, perché adesso sono proprio stufo di loro, ed è come se non li riconoscessi, non li avessi mai visti, fossero quasi degli estranei qualsiasi, perché io ora voglio soltanto starmene da solo nelle mie preziose due stanze, senza che a qualcuno, chissà poi perché, venga la voglia di disturbarmi. Per questo mi sono chiuso a chiave dentro la mia casa, e non voglio neppure sentire più nessuno, proprio perché loro hanno sempre voglia di parlare, di spiegare, precisare, di fare delle domande, di guardarmi ogni volta con l’aria di chi si fida poco di colui che si ritrovano spesso di fronte, e rimangono sempre in attesa che quello faccia soltanto qualcosa di male per far venire le forze dell’ordine a portarselo via. Con loro siamo tutti dei grandi amici, almeno fino a quando non si supera la soglia; dopo sei subito uno diverso, un disadattato, un matto, emarginato da chiunque, non meriti neanche di abitare in un condominio assieme a tutti gli altri, e quindi ti devono portare via le guardie, lo devono fare con la forza, il più presto possibile per favore, ed in questo modo salvaguardare la tranquillità del quartiere.

“Non faccio niente di male”, gli fo alla combriccola strillando ancora dalla finestra mentre tengo un martello dentro la mano, in maniera che capiscano bene che potrei anche essere peggiore di come sono sempre stato con tutti, e passare a vie di fatto con qualcuno di loro. Mi guardano adesso, intuiscono naturalmente che non sto affatto scherzando, però stanno qua sotto e non se ne vanno, rimangono tutti qui con la faccia seria a guardarmi, aspettando magari che qualcosa di grave succeda, che io faccia qualcosa di stupido, qualcosa che meriti di farmi portare via dalle guardie. Non sono brave persone queste qua, sono tutti contro di me, forse ridono per la mia voglia di starmene in pace, per il mio bisogno sacrosanto di non essere esattamente come loro. “Sono arrabbiato”, gli fo; “siete voi che mi fate arrabbiare, che mi ponete sempre delle domande a cui non riesco a rispondere, e poi magari ridete, parlate lungo le scale tra di voi e vi divertite nel prendermi in giro, quando dite che sono uno strano, uno che non è come tutti”. Mi chiedo che cosa mai vogliano questi da me, perché stiano sempre a parlare di quello che faccio oppure che non faccio, quando potrebbero benissimo preoccuparsi di altro.

Poi arriva mia zia, l’hanno chiamata loro di certo, le avranno detto che mi è presa una crisi, che stamani non sono tranquillo come durante i giorni passati, che mi sono messo ad urlare contro di loro, che ho spalancato la mia finestra ed ho detto a tutti di andarsene via, e di smetterla di fissarmi come fossi un animale feroce. Lei dice qualcosa, poi sale le scale, sento i suoi passi mentre viene su, e poi fra un attimo so che aprirà la porta di casa con la sua chiave, e mi dirà con la sua voce melensa e senza avvicinarsi che oggi sono stato cattivo, che non avrei proprio dovuto fare tutto quel chiasso, perché la gente ora si è spaventata, e poi se continua così loro chiameranno le guardie, che vorranno sapere perché avevo un martello, e così mi porteranno via, per rinchiudermi, per mostrarmi quale sia la vera maniera di stare tranquilli. Devo fare qualcosa penso, devo inventare il modo più rapido per mostrare a tutti quanti che stavolta è diverso, che non mi va più di stare tranquillo a comando, magari soltanto perché è arrivata la zia.

Velocemente metto la catenella alla porta, sento la voce della mia zia che scandisce il mio nome dal pianerottolo, ma io raggiungo di nuovo la finestra, dico a tutti con voce alta che nessuno può venire da me, e che decido io cosa sia meglio per quanto mi riguarda, e che non deve pensarci mai nessun altro. “Andatevene, insomma”, gli fo; “altrimenti dirò in giro che siete tutti un branco di sfaccendati; gente che non sa come trascorrere il tempo, che fa le stesse cose di sempre ogni giorno, e cerca di divertirsi alle spalle di uno tranquillo, uno che non vi chiede certo di dargli fastidio, e che ogni giorno vi sopporta con grande pazienza. Ma forse anche questo, purtroppo per voi, non potrà andare avanti proprio per sempre”.

Bruno Magnolfi

Non deve succedere ancora.ultima modifica: 2020-11-02T20:23:21+01:00da magnonove
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