Strada divisoria.

 

Un tizio dice qualcosa a voce alta, dall’altra parte della strada, mentre io me sto seduto al tavolino all’aperto di un bar con una birra ed un giornale da leggere. Lo guardo, quello resta fermo, sembra aver detto proprio a me, così lo studio per un attimo, poi torno subito al mio quotidiano, ignorandolo. Uno svitato, penso, un tipo che non sa proprio cos’altro fare delle sue giornate. “Ti tengo d’occhio”, sento ancora urlare subito dopo; “so chi sei, e anche come ti chiami”. Mi alzo, appoggio il giornale, entro dentro il locale per distoglierlo e farmi versare un’altra birra, ma quando torno fuori il tizio si è semplicemente spostato di qualche metro, ma ancora è lì, e come prima rivolto proprio verso di me. Adesso però non dice niente, mi guarda soltanto, ed il suo atteggiamento pare bastargli, almeno per il momento.

Torno a sedermi e mi viene da sorridere per la situazione strana in cui mi trovo. Lui resta imperterrito a fissarmi. Poi prendo coraggio, appoggio le mie cose e mi tiro su in piedi per attraversare la strada ed affrontare il tizio, in modo da capire se magari mi abbia preso per qualcun altro, o semplicemente se non sia con la testa del tutto a posto. Ma appena metto un piede sull’asfalto stradale, e mi guardo attorno per evitare eventuali automobili, quello scappa d’improvviso, e arriva rapidamente fino al primo angolo, sparendo alla mia vista. Mi guardo attorno, “deve essere mezzo matto, quello lì”, dico ad una persona che sta camminando vicino a me lungo il marciapiede, senza provocare alcun commento, a parte una breve risatina.

Mi siedo, riapro il giornale, accavallo le gambe mentre mi allungo leggermente sulla sedia. Ogni tanto abbasso le pagine per vedere se quello si fa ancora vivo, ma non sembra: “forse si è stufato”, penso. Invece poco dopo eccolo di nuovo lì, che riprende a guardarmi fisso nella stessa posizione di poc’anzi, ed adesso mi indica anche, con un braccio steso e con un dito della mano, come a mostrare che non ci sono dubbi, sono proprio io quello con cui se la sta prendendo. “Che cosa vuoi?”, chiedo a voce alta, mentre mi sto decisamente stufando di questa situazione. Poi lo indico a mia volta con un dito, esattamente come ha fatto lui fino ad un momento fa, in modo che non ci siano proprio dei dubbi: “sto parlando con te”, sembro urlargli, “tu che te ne stai a rompere l’anima a chi neppure ti conosce”.

Cala il silenzio, ogni tanto le macchine percorrono la strada come sempre, ed io mi trovo ancora da solo presso i tavolini all’aperto di questo stupido bar, ed il tizio di fronte a me se ne sta ancora lì a guardarmi, come non avesse proprio altro da fare. Maledico la strada che sembra ci divida, perché se non fosse così, a questo punto lo avrei di già affrontato e avrei chiarito tutte le cose una volta per tutte. “Sei un codardo”, gli dico senza neppure alzare troppo la voce, e lui in risposta sembra prendere qualcosa da terra per tirarmelo, anche se poi non tira niente. Basta, entro dentro al bar quasi deserto, mi siedo al bancone e mi disinteresso del tutto di quel tizio, proprio come non fosse mai esistito. Dopo un attimo però qualcuno viene a sedersi accanto a me, e senza che io lo guardi direttamente, ma soltanto osservando i calzoni che indossa, mi rendo conto che è proprio il tizio del lato opposto della strada. Allora mi volto, lo guardo con decisione, e lui mi dice: “potresti pagarmi una birra adesso; sempre che ti vada”.

Bruno Magnolfi

Strada divisoria.ultima modifica: 2020-01-28T19:55:44+01:00da magnonove
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