Ci sono spesso delle persone che si muovono proprio in mezzo alle cose che penso, come se loro, che perlopiù sono individui che neppure conosco, la sapessero molto più lunga di me e di tutte le mie riflessioni, tanto da giocare a mettersi ogni volta di traverso, e continuare con tranquillità a prendermi in giro. Me ne vado gironzolando con le mani in tasca, ed intanto mi ritrovo a fare i conti con questa gente che continua imperterrita ad accompagnarmi, come se nessuno di loro avesse proprio altro da fare che stare a materializzarsi dentro la mia mente, e poi farsi portare a spasso da me con completa indifferenza. Mi fermo, osservo una scritta sopra un muro accanto al marciapiede, poi riprendo la passeggiata, e tutti quanti ancora insieme a me, come se la mia testa fosse la migliore carrozza per andare in giro. Forse c’è troppa solitudine dentro ai miei vestiti, medito in silenzio, ma loro ridono di un pensiero come questo, perché sanno che non è del tutto vero: sono qui apposta per tenermi compagnia, dicono, per stare con me, in qualsiasi luogo decida di recarmi.
Entro allora in un locale dove c’è della gente che sorseggia caffè liquore e aperitivi, così mi piazzo da una parte mentre sento nelle orecchie una grande confusione di persone che scalpitano per parlare e dire qualcosa a tutti gli altri. Mi faccio servire un bicchierino mentre mi metto comodo ad un tavolino libero, poi ascolto le conversazioni delle persone che mi sono accanto. Sono i soliti argomenti, quelli comuni a tutti, ed a me pare che non avvenga niente di importante, così mi astraggo leggermente e mi godo con calma il leggero riposo del viaggiatore. Ma loro no: dicono irritati da dentro la mia testa che devo obbligatoriamente trovare qualcuno con cui fare della conversazione, perché non si può stare in un luogo del genere senza mettersi in mezzo come tutti e scambiare con tranquillità almeno quattro chiacchiere di circostanza. Così dico a voce alta che la serata è bella, riferendomi soprattutto ad un signore che sta seduto vicino a me. Quello annuisce, poi chiede se io venga spesso in questo caffè. Sorrido, dico che è la prima volta, e lui continua ad annuire, come se già sapesse qualcosa in più sull’argomento.
Poi affermo che a me generalmente non serve neppure stare troppo in compagnia, anzi trovo che la conversazione abituale tra le persone sia soltanto una perdita di tempo, un modo sciocco per non decidersi a provare il nobile sentimento della solitudine. “Forse”, fa lui, “in ogni caso molti fatti probabilmente non si verrebbero mai a sapere se non ci si comportasse in questo modo”. “Ha ragione”, dico io, “e per questo probabilmente è meglio non saperle molte di quelle cose, se sono soltanto informazioni dozzinali e comuni a tutti quanti”. “È un punto di vista interessante”, fa questo signore, “non avrei mai immaginato fosse negativo avere delle conoscenze interpersonali”. “E invece si”, fo io, “perché si perde tutto di se stessi cercando di assomigliare a tutti gli altri”. Poi butto giù l’ultimo sorso del mio bicchierino, saluto il mio interlocutore, pago al cameriere ed esco, mentre dentro la mia testa tutti quanti scalpitano quasi come ci fosse una rivoluzione.
Riprendo a camminare mentre inevitabilmente sento arrivare nella mia mente mille domande a cui non so neanche rispondere. Tutti i personaggi che albergano notoriamente nella mia testa adesso si sono alzati in piedi, e cercano di far valere ognuno il proprio parere, visto che su questo argomento sicuramente ne sanno molto. Vorrei dormire penso, in modo da trovare una maggiore tranquillità, anche se so che non è il modo giusto di affrontare le questioni. Ripercorro a ritroso quasi senza sceglierlo il mio stesso cammino, e ripasso così davanti al muro di prima con la scritta che per me non vuole dire niente: non mi interessa, decido nuovamente mentre procedo in avanti; in fondo sono soltanto alcuni particolari di un probabile dialogo che a me non appartiene; e che forse si potrebbe addirittura cancellare con una semplice mano di vernice.
Bruno Magnolfi