Mondo sconosciuto.

 

Ho sognato che camminavo lentamente lungo una strada deserta, e che accanto a me si trovava Marta. Non parlavamo tra di noi, forse in quel momento avevamo già detto tutto quello che c’era da dirsi, ma io avevo voglia all’improvviso di tenerla per mano, di avvertire con forza la sua presenza, forse per farle sentire il mio affetto, o la mia vicinanza, oppure per evitare di perdere ancora una volta lungo la via una persona preziosa come lei. Mi svegliavo, poi, che era già pomeriggio; d’altronde, dopo aver lavorato durante tutta la notte precedente, era il minimo di riposo che potessi concedermi, anche se odiavo quel tempo quasi gettato via, come se avessi potuto impegnare quelle ore in chissà quali altre imprese. Uscivo da casa, allora, e mi pareva che ogni dettaglio che vedevo fosse esattamente come sempre, senza alcuna differenza rispetto a tutti gli altri giorni; di colpo provavo però il desiderio di avvertire come un dolore, una piccola sofferenza, uno stimolo che mi scuotesse, ma non un vero dolore fisico, intendiamoci, soltanto una piccola fitta, un’amarezza, forse una semplice delusione data da qualcosa di specifico che però non trovavo né d’intorno, né dentro di me. Forse anche nei miei anni della scuola elementare dovevo aver già provato qualcosa del genere, anche se adesso non mi ricordavo con esattezza di nessun momento specifico del genere. Mi fermavo ad un angolo, poi, ed ecco subito che il mio fedele anticipatore di tutto appariva dal niente come ogni volta. <<Certo>>, mi fa; <<alcune volte desideravo profondamente provare del dolore che dimostrasse la mia scarsa sensibilità, ma era proprio la sua assenza ad evidenziare il mio carattere>>. Lo guardo, capisco che non deve essere stato facile tirare avanti in quegli anni, anche se adesso io non mi ricordo molto di quei dettagli di cui lui è testimone. <<Restava sempre la solitudine a giocare un ruolo importante>>, fa lui, <<che però agiva anche come cauterizzatore per le mie ferite>>.

Ma certo, penso io: la solitudine come colpa di tutto, e anche come fuga dalla realtà. In fondo è ancora questo che cerco adesso intorno a me, magari apprezzando quelle radici lontane capaci di dimostrare la coerenza di ogni mio comportamento. Seguo il ragazzo, e lui senza voltarsi si inoltra dentro un caseggiato che non conosco, inerpicandosi rapidamente lungo le strette e buie scale condominiali che giungono fino ad un pianerottolo dove è presente la porta chiusa di un appartamento. Osservo il nome sopra al campanello, e mi rendo subito conto che è proprio lì che abita Marta, mentre resto solo, senza più la compagnia del piccolo Paolo. Forse dovrei suonare, presentarmi mestamente a lei con qualche spiegazione che giustifichi in qualche maniera la mia presenza in quel luogo, ma decido che in nessun caso potrei essere ben accolto, per cui decido di andarmene senza fare nulla, anche se memorizzo velocemente ogni dettaglio che riesco a vedere. Chissà per quale motivo il caso mi ha portato fino a questo appartamento, rifletto, forse soltanto perché si ritiene possa esserci un futuro nella conoscenza tra me e questa donna, anche se a me non pare proprio possibile. Il presente è dato da tanti dettagli casuali, penso, ma soltanto la memoria a distanza riesce a dare un senso a tutti i piccoli fatti che si susseguono durante le giornate.

Torno a casa con la forte sensazione di non essere riuscito neppure oggi a mettere assieme qualcosa di positivo, ed anche se penso che il significato dei miei comportamenti si mostrerà probabilmente con una grande evidenza soltanto alla fine di tutto il percorso, nonostante per ora tutto quanto resti a me quasi ignoto, ugualmente l’impressione immediata di inutilità di tutto ciò che compio, o anche di ciò che forse desidererei soltanto compiere, è forte, quasi quanto il sapore di disfattismo che da sempre accompagna ogni mio comportamento. Si presenta ancora e all’improvviso, proprio davanti ai miei occhi, il piccolo Paolo, esattamente qui, dentro casa mia, quasi a mostrarmi che era tutto esattamente nella stessa maniera anche quando andavo a scuola, negli anni lontani delle elementari. <<Non avevo alcun sogno per il mio futuro>>, mi dice lui con timidezza. <<Nessuno mi chiedeva mai che cosa avrei desiderato fare una volta diventato grande, forse proprio perché si capiva immediatamente che non coltivavo dentro di me alcuna speranza, nessun desiderio particolare, e quasi non esisteva un vero futuro tra i miei pensieri, lasciando tutto lo spazio possibile dentro al mio cervello solamente all’immediato e semplice presente>>.

Mi lasciavo andare ad un gesto di fastidio allora, e lui forse per questo spariva, quasi fosse cosciente dell’ingombro dato dalla sua presenza. Avrei voluto addormentarmi di nuovo, all’improvviso, e poi riprendere il mio sogno nel punto esatto in cui si era interrotto, per comprendere con precisione verso dove riuscisse a portarmi quel mio esile filo di pensiero, anche se oramai pareva impossibile, e nonostante l’amarezza evocata appena poco fa sembrava mostrarsi proprio adesso, con tutta la sua forza. Fuori dalle finestre, lungo la strada, qualcuno parlava a voce alta, ma sembrava soltanto l’eco di un mondo a me completamente sconosciuto.

 

Bruno Magnolfi

Mondo sconosciuto.ultima modifica: 2024-08-01T17:06:57+02:00da magnonove
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