Credo che i miei compagni di classe potrebbero essere in certi casi anche invidiosi dei miei comportamenti, nonostante a me in fondo non interessi proprio niente dei loro pensieri. Riesco a stare da solo a mio agio e in perfetta tranquillità, mentre tutti gli altri hanno sempre bisogno di parlare con qualcuno, di ridere, scherzare, di misurare le barzellette che riescono a ricordare, ed anche persino la loro eventuale capacità di essere davvero spiritosi. Io sistemo i miei quaderni sul banco, mentre loro parlano, e li dispongo proprio come più mi piace, ad iniziare già dal primo momento in cui arrivo dentro la scuola di via delle matite, quando, subito dopo, apro l’astuccio con tutto il suo contenuto, ed alla fine mi siedo e me ne sto al mio posto in silenzio da solo, certe volte ad improvvisare qualche piccolo disegno su un lembo di una pagina, altre volte a riguardare il libro o gli esercizi eseguiti negli ultimi giorni. Non ho bisogno di altro, tantomeno parlare con qualcuno, e se per caso il mio compagno di banco mi chiede qualcosa, rispondo sempre in maniera sintetica, usando il minimo possibile delle parole che possono servire. Il mio esercitarsi continuamente alla solitudine, mi fa sentire perfettamente bene, come sapessi già da adesso che tra vent’anni o più sarà proprio il comportamento che mi tornerà maggiormente utile, e questo particolare non avere bisogno degli altri credo proprio che sin da ora che sarà sempre il tratto distintivo della mia personalità.
<<Sei un ragazzo in gamba>>, potrebbe dirmi adesso, osservandomi bene, la persona adulta che diverrò probabilmente tra molti anni. <<I tuoi modi di comportarsi di questi anni in cui frequenti ancora la scuola elementare, saranno i principi fondanti di tutta la tua vita; e non assomigliare a nessuno, e soprattutto il fare affidamento soltanto sulle tue forze, sarà sempre in seguito la base su cui appoggiare tutto il resto>>. Io guardo con attenzione quell’uomo fatto e finito che diverrò tra un po’ di tempo, e sono sicuro che lui incarna in questo momento esattamente quello che vorrei essere da grande, quando tutte le scelte e i modi di fare di una persona adulta si saranno realizzati in maniera seria ed importante. <<Forse però>>, continua lui, <<non hai riflettuto bene sul fatto che, proseguendo ad agire in modo separato da tutti, le occasioni per intraprendere delle attività che magari ti possono anche essere piaciute, si sono ridotte drasticamente, ed il tuo startene sempre per conto proprio non ti ha lasciato mai la possibilità di incrociare individui interessanti, persone piene di idee, ragazze e giovanotti che potrebbero tornarti utili nello sviluppo dei tuoi desideri>>. Mi prende sempre un moto di fastidio a sentir parlare così, anche se, riflettendoci a fondo, riconosco che un fondo di ragione con ogni probabilità ci può indubbiamente essere in mezzo a quelle parole.
Poi giunge la pausa di metà mattinata. Mi guardo attorno, ogni ragazzo della mia classe vedo che si è già alzato in piedi e in pochi attimi si sono facilmente formati dei piccoli gruppi in cui tutti parlano tra loro gesticolando e ridendo. Sono l’unico rimasto seduto, e a nessuno viene mai la voglia di chiedermi qualcosa o di riferirsi a me per qualche motivo. All’improvviso, dico con voce alta e decisa: <<Voglio andarmene da qui!>>, giusto per vedere che reazione riesce ad avere un’affermazione del genere sugli altri. Si instaura subito un attimo di silenzio, tutti mi guardano per capire se a quelle parole c’è addirittura un seguito, poi forse qualcuno riflette che forse in certi casi mi torna normale sentirmi terribilmente da solo pur in mezzo a tanti coetanei. Mi viene vicino uno tra quelli meno introversi, giusto per chiedermi per quale motivo abbia detto in quel modo preciso, ma io adesso oppongo un ostinato silenzio, lasciando all’eventuale interpretazione di qualcuno la possibilità di comprendere il mio attuale stato d’animo.
Quindi le lezioni riprendono come ogni giorno, e nessuno sembra più fare caso a me, proprio perché tutti desiderano la normalità. A fine mattinata però, appena suonata la campanella del termine delle lezioni, il compagno di prima viene verso di me con i suoi libri e i suoi quaderni ormai ben allacciati tra loro da una apposita cinghia, e mi posa una mano sopra la spalla con fare quasi amichevole. <<Cosa c’è, che proprio non ti va bene>>, mi chiede con naturalezza, accompagnando le parole con un leggero sorriso, ma senza dare troppa importanza alla cosa; ed io a quel punto, che non posso certo esimermi dal dargli una qualche risposta, dico soltanto: <<A volte mi sento un po’ solo>>, usando un’espressione di afflizione ed un timbro di voce appena percettibile. Lui mi guarda, poi fa: <<però sembra a tutti che tu stia bene da solo, completamente a tuo agio, e che non abbia mai alcun bisogno degli altri>>. Lo guardo a mia volta, poi ci incamminiamo verso l’uscita, ed io all’improvviso inizio a ridere, anche se in modo piuttosto pacato: <<Stavo scherzando>>, gli dico alla fine; <<Non preoccuparti per me>>.
Bruno Magnolfi