Errori stupidi.

 

Verso le tre di notte, mentre sono come sempre a lavorare o, meglio, a sorvegliare che tutto vada bene in questo albergo dove ricopro il ruolo di portiere di notte, avverto dei rumori lungo le scale di servizio, nel momento in cui mi trovo al mio solito posto, dietro al banco della portineria. Attendo qualche secondo, poi mi decido ed infine mi muovo per andare a controllare che tutto sia al proprio posto come dev’essere. Salgo le scale con una certa calma, guardingo, e non vedo niente di insolito, tanto che giungo fino al corridoio del primo piano dove le porte laccate delle stanze sembrano tutte ben chiuse per la notte, ma da qui si dipartono altri due passaggi che conducono ad altre porte di diverse camere. Perlustro lentamente ogni centimetro quadrato di moquette davanti ai miei piedi, ed alla fine lo trovo lì, di fronte a me, che mi guarda, immobile e con una espressione del viso seria e indefinibile. <<Paolo>>, dico sottovoce, riconoscendo immediatamente il bambino che ero io stesso appena quarant’anni fa. Lui risponde solo con un cenno, ed io gli chiedo naturalmente che cosa mai stia facendo in questo luogo, e come abbia fatto a trovarmi e ad arrivare fino qui. <<Sono venuto per vedere come te la cavi>>, fa lui con voce tranquilla, quasi fosse la cosa più normale di questo mondo. <<Vieni di sotto>>, gli dico subito, <<potremo parlare meglio, e poi scambiarci anche alcune opinioni; ci sono un sacco di cose che mi rimangono ancora poco chiare circa i tuoi comportamenti del tempo della scuola>>. Lui sorride, quindi si volta su un fianco, come attirato da qualcos’altro, poi dice: <<No, adesso devo andare, però presto tornerò, e poi ti spiegherò tutto quello che vorrai sapere>>. Quindi svanisce, ed io di nuovo resto solo.

Ma certo, penso mentre scendo di sotto per tornare a sedermi di nuovo presso la portineria. Deve spiegarmi alcune cose che adesso stento persino a giustificare, forse anche per via della mia memoria appannata, ma soprattutto perché devo comprendere meglio quel passaggio fondamentale dalle elementari alle scuole medie, che oggi a me appare più confuso che mai. Fu quello il momento in cui Marta, una ragazzina semplice e silenziosa capitata quell’anno nella mia classe, spiegò in fretta, durante una mattina in corridoio, che comprendeva i miei malesseri, perché erano anche i suoi. <<Difficile farsi ascoltare dagli altri>>, disse, <<sono tutti presi dalle loro cose>>, mi spiegava lei mentre teneva il suo sguardo basso, senza neppure guardarmi. <<Paolo>>, aggiungeva; <<non dobbiamo abbatterci; è necessario trovare una solidarietà tra noi che ci faccia superare le difficoltà>>. Io annuisco ancora adesso di fronte a queste parole; mi rende quasi felice sentirla parlare in questo modo, anche se, all’uscita dalla scuola di via delle matite, mi trovo ancora solo, senza possibilità di scambiare con nessuno i miei pensieri. Non è neppure questo a farmi davvero paura, ormai sono abituato a starmene in un angolo, però comprendo sempre di più che il mio futuro non sarà mai sereno, e che trascinerò per sempre con me i problemi che oggi non riesco minimamente a risolvere.

Marta ha compreso molto della mia indole, rifletto, ma quello di cui sono maggiormente preoccupato non è essere capito, ma aspirare ad un minimo di amicizia da parte dei miei compagni, almeno tale da farmi sentire sostenuto in ciò che cerco di fare. Però, se ci rifletto meglio, non posso neppure pretendere molto: sono io che dovrei comportarmi in maniera differente verso di loro, in maniera da cambiare almeno qualcuna delle carte in tavola. Marta, in fondo, è come gli altri: le piace forse starmi vicino qualche volta solo perché probabilmente non assomiglio a nessuno che conosce, ma appena un altro dei ragazzi che le girano più attorno le farà qualche complimento, saprà immediatamente chi scegliere e da che parte stare. Ecco, proprio questo è il punto: scegliere. Io non voglio fare parte della merce esposta per i clienti; sono come sono, o mi si prende così, oppure nulla.

Solo adesso mi rendo conto che Marta poteva essere davvero la molla essenziale per un mio cambiamento. Con i suoi modi avrebbe potuto facilmente convincermi dei miei errori e trascinarmi verso una zona che non avevo mai fino ad allora preso in considerazione. Invece io, testardo come sono sempre stato, la ignorai. <<Non sono come pensi>>, le dico mentre ancora siamo soli lungo il corridoio scolastico. <<Non mi interessa avvicinarmi agli altri, mi bastano le mie cose sciocche, le mie abitudini, i miei pensieri>>. <<Va bene>>, fa lei ancora adesso, irrigidendosi. <<Capisco che stando così le cose non hai certo necessità che qualcuno si perda qualche volta ad ascoltarti, e meno che mai provi questo bisogno da parte di una ragazza timida come me, che spesso mostra soltanto un po’ di paura per ciò che ogni giornata può improvvisamente riservarle>>. Io non seppi che cosa aggiungere in quell’occasione, perciò rimasi in completo silenzio, anche perché era quella la condizione che mi faceva sentire più a mio agio.

 

Bruno Magnolfi

Errori stupidi.ultima modifica: 2024-03-28T20:51:12+01:00da magnonove
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