Quasi sempre insieme.

 

Due passi o tre, proprio davanti a dove cammino io, è lì che c’è sempre quel profilo scuro, quel contorno di persona ombrosa e scarsamente visibile di cui non riesco mai a notare nient’altro se non quella sua sagoma inespressiva, composta da un unico colore, che a tratti scompare e poi riappare, in modo rapidissimo, come una debole luce elettrica a cui in maniera intermittente venga a mancare il contatto. Un fantasma, un replicante, non saprei dire, in certi momenti sembra addirittura del tutto trasparente, ma ciò che mi turba di più osservando questa figura, è che precede sempre ogni mio passo, e in qualche maniera mi anticipa, lasciandomi evidentemente una sola possibilità di scelta, cioè quella di seguirla. Lo so, lo so perfettamente che gli altri non la vedono, che forse per loro non esiste, che è solo qualcosa che riguarda me stesso e i miei pensieri, ed è per questo che non ne parlo mai, in alcun caso, con nessuno. Però so altrettanto bene che a me in qualche modo indica la strada, che mi sostiene nel momento in cui mi trovo da solo, e che bene o male funziona quasi come un cane guida, guardando per me qualcosa che probabilmente io non sarei capace di vedere. Quando sono in ufficio a lavorare non si fa vivo quasi mai, se non rapidamente lungo il corridoio mentre vado verso le macchinette del caffè. Non ho bisogno di parlare mai con lui, perché so che è in grado di leggere tutti i miei pensieri, e di sapere già praticamente tutto di me.

Poi, in un attimo, questo mio doppio se ne va, e non si fa più vedere magari fino al giorno successivo, ma io annuso l’aria, sento il suo odore, percepisco che c’è da qualche parte, anche se non riesco ad avvistarlo. Quando ne sento il bisogno, quando vorrei averlo davanti, lo penso intensamente, ma non è detto che giunga davanti a me solo per questo, anche se sto camminando da solo per la strada. Vorrei parlarne con qualcuno, un giorno o l’altro, chiedere magari ad un tizio che si intende un po’ di queste faccende, che cosa ci sia da dedurre da tutto questa cosa. Con mia moglie in generale non ho parlato mai di niente fin da quando stiamo insieme, figuriamoci se inizio adesso col rivelarle una cosa di questo tipo. I nostri figli poi sono grandi, ed hanno già le loro preoccupazioni, inutile mettergli in testa qualche altro pensiero. Così tiro avanti, più per abitudine che altro, e quando mi soffermo ad osservare attentamente questa figura che mi appare davanti con la mia stessa sagoma, comprendo che c’è qualcosa che non va dentro di me, ma fingo con tutti di essere soltanto stanco, di non aver mai voglia di parlare, di provare la necessità di starmene da solo.

Sempre più spesso compio dei lunghi giri sopra ai marciapiedi del quartiere dove abito. Mi rilasso, aspetto che la solita figura che conosco si faccia vedere, poi la seguo senza più pensare a niente, neppure per scegliere la strada da percorrere. Sto bene quando sono così, è inutile che lo neghi, e forse potrei perdermi completamente, anche se questa è l’unica preoccupazione che conservo. Già, perché il pericolo più forte, secondo il mio modo di vedere, è quello che tutta la faccenda mi prenda un po’ troppo la mano, e giunga fino ad un punto estremo dal quale io non sia più capace di tornare indietro. Così conservo dentro di me questa piccola tensione, come quando si chiudono gli occhi da soli per il forte sonno, ma non si vuole del tutto abbandonarsi e dormire, o forse non si può, e per questo motivo ci si mantiene su una linea di demarcazione flebile tra sonno e veglia, quasi una sofferenza e basta. Infine, trovo sempre la maniera di rientrare a casa, però di malavoglia, come fosse una forzatura, un dovere, un obbligo al quale non riesco proprio a sottrarmi.

Non credo che qualcuno si sia mai accorto di niente. Non ritengo neppure di essere una persona troppo strana agli occhi di chi mi conosce, almeno non più di tanti altri che vedo parlare con sé stessi muovendo le mani e le braccia, come riferendosi a chissà chi. Forse anche io bisbiglio qualcosa qualche volta, ma lo faccio quasi in silenzio, tenendo le mani sprofondate nelle tasche, senza guardare nessuno intorno a me, senza riferirmi a qualche persona in particolare, tantomeno il mio compagno, quando continua imperterrito a camminare davanti ai miei piedi. Non sono un pazzo, anche se sono convinto che ci sia una profonda relazione tra me e lui, come se fosse una mia invenzione vera e propria, un personaggio della mia fantasia che riesco a modellare a mia immagine di fronte a me, quasi a sottolineare qualcosa che però mi sfugge, che non riesco a comprendere del tutto. Non so a che cosa serva il mio compagno, non so perché mi stia sempre così intorno, però sento di soffrire quando non lo vedo; ed è per questo che aspetto sempre con una certa impazienza il momento in cui finalmente deciderà di tornare insieme a me.

 

Bruno Magnolfi

Quasi sempre insieme.ultima modifica: 2023-10-19T17:47:46+02:00da magnonove
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