Pena di vivere.

 

Da dietro le tendine della mia finestra mi fermo ad osservare quasi ogni giorno i pochi passanti che si muovono lungo la strada del mio paese. Di fronte alla mia casa, però, si trova proprio l’ingresso dell’ufficio Postale, e quindi, soprattutto di mattina, si nota facilmente qualche persona che va ad infilarsi là dentro per sbrigare alcune delle proprie attività. Mi piace riconoscere da dietro ai vetri alcuni miei concittadini, e spesso mi diverto a notare in quale maniera si siano vestiti in quel certo giorno, o come si comportano guardandosi attorno, con quali altre persone si soffermano, magari per scambiare qualche parola di rito, ed infine noto anche chi cerca di evitare qualcun altro. Non c’è niente di male nel mio curiosare, anzi, dopo i fatti recenti che sono accaduti in questa agenzia, o meglio, che sarebbero potuti accadere, credo a mio parere non sia sbagliata l’osservazione attenta di tutti gli utenti che entrano ed escono da quell’ufficio: potrebbe tornare utile nel futuro, penso spesso, aver notato qualcosa che ad altri magari non è proprio balzato agli occhi. Certe volte poi, quella che posso guardare dalla mia casa, sembra proprio sia la parte più viva del centro abitato, un luogo, una strada, un marciapiede, dove si scambiano saluti, informazioni, rallegramenti, dove si riesce facilmente a socializzare, e vengono espresse da tutti con sincerità le rispettive opinioni. Si parla, si dice quali siano i propri pensieri, le idee, le preoccupazioni, se ci sono, o le difficoltà che si tenta di fronteggiare qualche volta. Non riesco da qua a comprendere le parole che si scambiano, queste persone, ma ci vuole poco ad immaginare i discorsi che vengono intavolati.

Certe volte riconosco qualcuno con cui negli anni scorsi sono stato in frequente contatto, magari fino a non molto tempo fa, almeno fino a quando la mia malattia non mi ha costretto a rimanermene in casa e a non frequentare più nessuno. Mi proietto facilmente là in mezzo a quei miei amici di un tempo, e sento quasi ancora le loro voci nelle orecchie, le riconosco, così come riconosco facilmente le loro maniere di essere e di comportarsi. Mi tengono compagnia, in qualche modo, anche se queste persone che scorrono davanti a me neanche suppongono di essere osservate, ed io non mi lascio certo vedere da quelli che qualche volta girano persino lo sguardo verso la mia parte, come per scrutare se io per caso mi sia affacciato in quel momento al davanzale, ed abbia forse voglia di scambiare il mio saluto con il loro. No, non posso aprire questa finestra, sporgermi verso la strada, mostrare il mio volto di questi ultimi tempi, così peggiorato che neppure io stesso mi soffermo ad osservarlo ancora nello specchio del bagno. Sto qui, di nascosto, però volentieri guardo tutti, ed è un po’ come essere ancora dentro alla vita del paese, come se i discorsi immaginati che in questo momento si scambiano questi individui, riuscissero a darmi il sollievo di non essere isolato da tutto.

Ho visto la signora Vanni, con l’espressione sempre più seria, probabilmente per la preoccupazione di mandare avanti sempre al meglio tutto l’ufficio. E poi gli altri impiegati che conosco, che arrivano la mattina presto per svolgere come sempre il loro ruolo. C’è Laura, la ragazza che sta dietro allo sportello al pubblico, che a metà mattina va a prendersi un caffè alla Casa del Popolo poco lontano, qualche volta insieme a quel nipote del vicesindaco, con il quale probabilmente deve aver messo su una relazione, anche se non sembra che le cose vadano avanti troppo bene, almeno a giudicare dalla carenza tra di loro di qualche anche minimo gesto tenero. Escono in due, ma lui tiene lo sguardo sempre a terra, e lei prosegue, come è sua consuetudine, ad elargire grandi saluti e sorrisi a tutti coloro che incontra. Trovo qualcosa di inadeguato in quel loro comportamento, come se qualsiasi desiderio di stare assieme, fosse frenato da qualcosa più importante, e quella breve pausa dal lavoro, probabilmente dopo che lui ha terminato la consegna delle lettere con quel ciclomotore sulla cui carrozzeria spicca la scritta Poste Italiane, fosse diventata in breve tempo soltanto un’abitudine, che forse uno almeno di loro due vorrebbe ultimamente quasi evitare.

Mi dispiace rendermi conto di questi piccoli dettagli, forse perché nel mio mondo immaginario vedo tutti quanti andare sempre d’accordo tra di loro, e vedere davanti ai miei occhi solo la dimostrazione chiara che tutti si aiutano e si vogliono bene, anche se riconosco che non è perfettamente sempre così. L’infermiera che raggiunge la mia casa ogni giorno per curarmi, dice che forse potrei anche azzardarmi ad uscire, una volta o l’altra. <<Ma non ha alcuna importanza>>, le rispondo. <<Per quello che mi interessa sapere, ho già tutto quello che mi serve restando immobile dietro la mia finestra. Eppoi non voglio proprio che qualcuno mi fermi lungo la strada o sul marciapiede davanti casa mia, magari soltanto per mostrare tutta la sua pena nei miei confronti>>.

Bruno Magnolfi

Pena di vivere.ultima modifica: 2023-05-20T16:55:12+02:00da magnonove
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