Legittima intesa.

 

<<Diversi anni addietro ho avuto anche io una vera moglie>>, ripeto qualche volta alle persone che incontro nella birreria di Lorenzo durante certe sere. Riconosco che appare persino un po’ ridicolo affermare qualcosa di questo genere, come se sposarsi fosse un solido punto d’arrivo per qualsiasi ragazzone senza troppe altre aspettative dalla propria vita. Ma per me è stata un’esperienza importante, anche se purtroppo si è interrotta, e non posso parlare delle mie cose senza far presente anche una cosa che ha lasciato così tanti strascichi dentro di me. Gli altri clienti del locale che bevono birra, mangiano salatini e annuiscono mentre continuo a parlare, sembrano sempre nella condizione di accettare facilmente tutto quello che gli viene spiegato, e poi sorridono, e forse davvero comprendono quanto tutte le cose belle prima o dopo siano destinate a terminare, così come ripeto a me stesso quasi ogni giorno. <<Durante il primo anno di matrimonio mi pareva di volare>>, spiego quasi rapito dalle immagini che proseguo a richiamare alla mente; ma poi c’è sempre qualcuno che interrompe le mie parole con qualche battuta spiritosa, e allora anche io faccio una risata e lascio perdere tutti i miei stupidi ricordi.

Mi sentivo importante in quegli anni, penso più tardi una volta da solo; ed anche se all’epoca non avevo un lavoro stabile e neppure una posizione, ugualmente ero disposto a qualsiasi cosa pur di sentirmi all’altezza della famiglia che avevo messo insieme. Laura, quando l’avevo conosciuta, lavorava già alla scuola materna, e così avevamo preso una piccola casa in affitto che ci sembrava un paradiso in miniatura, la stessa peraltro dove abito anche oggi, però da solo, visto che abbiamo dovuto separarci. Non so dire di preciso che cosa aveva iniziato a non andare più tra di noi, almeno non come nei primi tempi, però Laura nell’ultimo periodo del nostro rapporto stava male, non sopportava quasi più la mia presenza, ed anche per quanto mi riguarda c’erano giornate in cui tiravo a fare tardi fuori da casa pur di non stare a contatto con lei. Nel locale di Lorenzo qualche volta ci si può permettere di rivelare alcune delle proprie esperienze, anche se naturalmente non si deve mai esagerare. Finita di dire una cosa si butta giù un lungo sorso di birra, e tutto così sembra passato, alle spalle, senza bisogno di allungare troppo i discorsi.

Mi fermo quasi sempre in questa bettola mentre torno verso casa dopo il lavoro, e se proprio non c’è nessun altro cliente in quel preciso momento a tirare tardi e a bere qualcosa, allora scambio volentieri quattro chiacchiere direttamente con Lorenzo, che mi conosce da parecchio tempo e sa sempre comprendere i disagi di tutti, non disdegnando certamente quattro parole da scambiare con me. <<A volte vorrei andarmene proprio da qui>>, gli dico mentre lui dietro al bancone sistema i suoi bicchieri da lavare o da riposizionare sulle mensole; <<e così mettermi nelle condizioni di ritrovare la spinta iniziale, l’entusiasmo che non ho più, la voglia che avevo quando è iniziato tutto quanto, perché adesso mi sento moscio, senza interessi, incapace di mandare avanti ancora le giornate in questo modo>>. Niente di nuovo, penso, sono le solite cose che probabilmente gli dicono in parecchi clienti, le medesime lamentele di tutti, e chissà quante altre è costretto a sentirne chiunque abbia un locale senza troppe pretese proprio come il suo. Lorenzo ascolta, difficilmente interviene o pone delle domande, ma il suo silenzio fa anche parte del personaggio, perciò nessuno, tantomeno io, gli chiede di più.

Quando esco da lì mi pare quasi di portarmi a casa un amico, ed anche se questa sensazione dura appena il tempo per farmi giungere al portone condominiale,  mi sento ugualmente già più sollevato. In casa naturalmente ritrovo il solito disordine lasciato dalla mattina, ma senza guardarmi troppo attorno entro sotto la doccia, poi indosso dei vestiti più ordinari e più comodi, ed alla fine torno ad uscire, giusto per raggiungere la rosticceria “da Mauro”, dove mi accorgo subito già entrando nella sua piccola tavola calda, che c’è sua figlia Luciana stasera a servire i clienti. Decido immediatamente che mi siederò ad uno dei pochi tavoli ricavati davanti al bancone, lasciandomi portare una porzione di qualcosa già pronto, insieme a mezzo litro di vino bianco, nella speranza naturalmente che lei abbia voglia di scambiare con me almeno qualche sciocchezza. <<Sono contenta di vederti>>, mi fa lei immediatamente. <<Per stasera abbiamo cucinato qualcosa che ti piacerà senz’altro>>, dice. Sorrido, mi rilasso, c’è un’intesa forse tra noi due; ed anche se non è esattamente così, resta del tutto legittimo per me proseguire comunque ad immaginarlo.

Bruno Magnolfi

Legittima intesa.ultima modifica: 2022-07-18T16:08:24+02:00da magnonove
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