Nessuna spiegazione.

 

Stasera si sta tenendo una cena nel salone di pianoterra della nostra “villa dei Neri”, alla presenza di diversi invitati, tutti ben vestiti, che rappresentano coloro che normalmente, ognuno a vario titolo, lavorano e gestiscono degli affari insieme a mio padre che siede a capotavola. Per l’occasione è stato chiamato in soccorso anche il figlio della cuoca, proprio per aiutare in cucina ed ovviamente anche servire le diverse portate, affiancando così la nostra abituale cameriera, e in modo da permettere ai due di effettuare una buona presenza di servizio intorno ai commensali. Per l’esecuzione di tutto ciò, gli è stata fatta indossare, in questa particolare serata, un’aderente livrea bianca con grandi bottoni che quasi lo rende un figurino perfetto, anche se forse non lo fa sentire esattamente a suo agio. Il mestiere lo conosce, questo è ben chiaro, ma probabilmente è più abituato a lavorare in certe pizzerie senza pretese, più che in qualche ristorante altolocato. In ogni caso ho visto che in diversi hanno lavorato sodo durante tutto il giorno per preparare e mettere a punto nella cucina i tanti piatti previsti, e per questo motivo la cena vera e propria sta procedendo perfettamente, se non fosse che io e mia madre, com’era peraltro del tutto prevedibile, ci ritroviamo leggermente a disagio in mezzo a più di dieci individui sconosciuti tutti di sesso maschile, esclusa la segretaria personale del mio papà, donna elegantissima e dai modi molto decisi.

Il nostro pianoforte verticale, isolato in un angolo e forse lì rannicchiato per via dei tanti discorsi che vengono espressi con voce persino troppo alta, appare adesso quasi un mobile inutile, così lontano da quelle chiacchiere di lavoro che proseguono a richiamare molto interesse nella conversazione generale intorno alla grande tavola ben imbandita, anche se naturalmente per me risultano tutti argomenti di cui non so quasi niente, esclusi alcuni vaghi richiami alle frasi che certe volte sento pronunciare al telefono da parte di mio padre, in risposta a qualcuno dei suoi collaboratori, durante quelle tante e ripetute volte e negli orari più insoliti, in cui viene interpellato per qualche superiore ed urgente motivo. In questo momento comunque mi sento in qualche modo vicina al mio pianoforte, e parimenti forse vorrei essere voltata, da mani soccorrevoli ed insieme a tutta la sedia, verso un angolo lontano da questa tavolata, proprio come il nostro silenzioso strumento musicale, anche se la paura più forte che provo è quella che a mio padre venga in mente alla fine della cena di farmi esibire alla tastiera davanti a tutti i suoi ospiti, per allietare e coronare una serata sicuramente indimenticabile, come probabilmente vorrebbe che quelli spiegassero ad altri nei prossimi giorni, mostrando un’immagine positiva e fruttuosa.

Comunque tutto procede come previsto, ed anche se non ho ancora detto una sola parola da quando mi sono seduta davanti alla tovaglia bianchissima, ugualmente mi sono ripromessa di rispondere soltanto a monosillabi, se mai a qualcuno venisse voglia di chiedermi qualcosa. Terminiamo, e come previsto mio padre, forse ormai a corto di temi e di frasi fatte, parte con delle argomentazioni, di cui peraltro non sa quasi niente, intorno alle mie spiccate qualità di pianista, tanto che per ovvietà qualcuno chiede subito di farmi esibire su quel benedetto pianoforte che nelle sue parole dovrei mirabilmente padroneggiare. Mi ero già preparata qualcosa di Duke Ellington, tanto per tenere tutti su dei toni allegri e orecchiabili, ma in considerazione della serata pesante che ho dovuto trascorrere, mentre mi siedo sulla panchetta ed apro il pianoforte, mi viene subito a mente di attaccare il Notturno in mib maggiore, tanto per mostrare quanto poco mi sia divertita fino ad ora, per proseguire poi con la sequenza IV di Luciano Berio, di cui ho qui la partitura completa, e rompere così qualsiasi atmosfera positiva.

<<Brava>>, dice così qualcuno mentre ancora sto suonando, e gli altri allora, come fossero stati rotti gli indugi, si lasciano andare in un piccolo applauso liberatorio, ed io naturalmente subito smetto, sorridendo e ringraziando come si conviene in casi del genere. Non suonerò mai più per gente così, decido in questo esatto momento: ci vuole empatia in certe cose, non forzata necessità di apprezzamento. Mi alzo mentre crolla completamente la mia importanza agli occhi di tutti, ma il figlio della cuoca invece prosegue a guardarmi diritto con un mezzo sorriso negli occhi: forse ha compreso quello che volevo suggerire a tutti quanti; e forse il mio giudizio generale è stato del tutto ricambiato dentro di lui, come non fosse neppure necessaria alcuna parola tra noi per spiegarsi.

Bruno Magnolfi

Nessuna spiegazione.ultima modifica: 2021-09-14T15:22:44+02:00da magnonove
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