Disperso chissà dove.

 

La terra è dappertutto. La sento scorrere tra le dita della mano: è scura, morbida, composta di tanti minuti frammenti vegetali e minerali. Mi muovo sulla scarpata accanto al torrente, dove cresce qualche ciuffo d’erba qua e là, ed osservo tutta la zona più vicina, estesa sul piano di campagna allontanandosi da me a perdita d’occhio, fino ad una striscia dove una nebbiolina impalpabile riesce come a sfumare e a confondere i colori della valle con l’aria e il cielo terso. E poi immagino subito la battaglia ingaggiata proprio là, sopra quel piano; lo scontro tra una moltitudine di uomini robusti, sicuramente decisi ed anche energici, protetti però un poco alla meglio, con gli occhi ben sgranati, con le mani ingombre di qualsiasi cosa in uso per offendere, ed i piedi piantati con forza proprio in quella terra, come se fosse quella tutta la loro possibile salvezza, il sostegno ed anche il riparo ad ogni loro immutabile destino. Tutte sciocchezze quelle della storia: ciò che conta è ora, si dice spesso; il resto è un deposito omogeneo di resti indifferenziati, penso anch’io. Però c’è qualcosa che mi chiama in questo vasto pianoro senza gli alberi, come una voce grave che scaturisca fuori direttamente dal composto umido sotto ai miei piedi. Resto in ascolto, come aspettandomi di sentire ancora un piccolo richiamo, un qualche lamento, un grido di dolore. Disperso in guerra, recita la dicitura messa a punto dai vari governi ad indicare chi è sparito dentro un vortice violento, forse morto ammazzato, ucciso dal nemico, forse nascosto sotto falso nome, magari rifugiato chissà dove, come un eremita, a vivere alla pari di un qualsiasi animale di boscaglia, pur di non essere parte di una cosa inaccettabile.

Mi muovo leggermente nella mia silenziosa solitudine, poi vado a sdraiarmi sul campo più vicino, ad ascoltare come fosse un suono reale quel probabile miscuglio indistinto di grida e di voci confuse tra di loro, e a saggiare meglio e di nuovo il contatto con la terra, la sua solidità fissata da sempre in infinite superfici ricoperte dal tempo con altre e nuove superfici, e mi immagino alla fine anche la polvere millenaria accumulata, adagiata dalle stagioni poco per volta sopra tutto quanto, come una coperta calda. Rifletto su quegli uomini ormai vinti, insieme anche a qualcuno tra quelli vittoriosi, feriti a morte e finiti inesorabilmente a terra, per andare ad abbracciarsi là sopra e a confondersi infine tra di loro, per ritrovarsi poi, poveri corpi martoriati, affondati nella terra poco per volta, come navi sbattute dai marosi, con le loro armi, tutte le energie disperse, e gli ultimi pensieri dell’esistenza che d’improvviso sfugge loro in quell’ultimo attimo di presenza in questa vita, senza alcuna possibilità diversa. Disperso: infruttuose le ricerche, se davvero sono state fatte, nel ritrovare un giorno i poveri resti, pur avendoli cercati in mezzo a tutto quanto come si fa generalmente per un oggetto senza un vero valore e di rapido degrado, e poi abbandonato così, forse nel luogo più adeguato a diventare semplicemente terra per l’agricoltura, penso.

Ecco, questo è quello che adesso vedo proprio qui davanti a me, quello che sento con le dita in mezzo ai fini frammenti di tutto il materiale che compone questo terreno della campagna abbracciata dal mio sguardo. Poi riprendo il sentiero che senza fretta si inoltra fino alle prime case del paese, dove i vivi mandano avanti le loro attività con la consapevolezza dell’importanza del presente, spesso superiore ad ogni tipo di memoria. Per strada incontro una donna sorridente che volentieri mi saluta, ed io naturalmente rispondo subito al suo cenno, chiedendole se fosse a conoscenza, in mezzo a tutte quelle dolci colline, di quale vallata avesse visto trucidati quei poveri partigiani che in tempo di guerra si dice tentarono una sortita contro un gruppo di tedeschi acquartierati in quelle case poco lontano. “Non saprei”, dice questa donna soffermandosi un momento; “però ha ben poca importanza, tanto la terra li ha inghiottiti tutti, come non fossero neppure mai esistiti”. Scuoto la testa come per annuire alle sue parole, anche se non credo molto a quella conclusione. Quindi la saluto e poi proseguo. Questo è il caduto vero, penso adesso; colui che è stato dato per disperso, che è morto proprio anche per gli altri, e che noi tutti non siamo stati neppure capaci di immaginare veramente, neppure nel suo attimo finale.

 

Bruno Magnolfi

Disperso chissà dove.ultima modifica: 2021-03-19T20:19:33+01:00da magnonove
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