Non ho potuto che sbagliare.

 

Quella volta credo mi fossi limitato sorridendo a fare appena un cenno affermativo con la testa, lo ricordo piuttosto bene anche se questo è accaduto oramai molti anni fa, ed era successo a margine di un famoso processo penale, proprio quando qualcuno in mezzo a tutti quei giornalisti che in quell’epoca pareva talvolta facessero quasi a gara ad intervistarmi, mi aveva chiesto d’improvviso, considerato che quello era come dire il tema del momento, se fossi stato davvero favorevole ad una limitazione ulteriore delle libertà carcerarie, cosa che in quel momento sembrava quasi un pensiero dilagante. Certo, pensavo all’epoca, ci vuole per tutti la certezza della pena, non un sistema di favoritismi o di blande regole per uscire rapidamente di galera e non tornarci più. Ma l’argomento non era semplice, ed in seguito ha continuato per molto tempo a tormentarmi, anche quando, dopo raggiunto il termine del mio mandato, ho dovuto passare ad altri colleghi il ruolo di responsabile della Commissione Giustizia.

Adesso qualcuno ha voluto tirar fuori di nuovo quella storia, naturalmente solo per attaccare la mia parte politica, ed ha spiegato in questi giorni con parole semplici ma sicuramente molto efficaci, che la mia figura ed il mio comportamento, come espressione dello Stato di diritto, sono sempre risultati inquinati da un bisogno personale del tutto ingiustificabile e immotivato di giustizialismo. Si è mostrato inutile all’epoca aver chiarito meglio ed in varie occasioni il mio pensiero: la carta stampata spesso prende per vero e definitivo un semplice gesto poco meditato, piuttosto che un argomentare più esauriente e maggiormente chiaro, ma tant’è, devo accettare quello che si dice, visto che riprendere in mano l’argomento significherebbe soltanto dargli nuova forza, e quindi mostrare tutto quanto in modo decisamente ancora più concreto.

In seguito mi sono disinteressato poco per volta della politica attiva, pur restando naturalmente con le mie opinioni che sempre mi hanno accompagnato, e tra tutti chi mi conosce meglio sa per certo, adesso come allora, che cosa io pensi veramente, lasciando da parte ogni speculazione giornalistica. Mi sono morso le mani tante volte, ripensando a quel mio gesto futile e così dannoso per la mia correttezza di uomo dello Stato, anche se credo che nella vita di ciascuno, scavandovi anche solo leggermente, sia quasi inevitabile trovarci tante piccole vicende di cui spesso ripensandole ci si trova a vergognarsi, o che in qualche maniera mostrano qualcosa che non va esattamente nella scia di ciò che realmente si desidera, tanto che a lungo andare quelle esternazioni appaiono addirittura come delle macchie nella nostra coscienza, e se per un colpo di fortuna nessuno tra chi ci conosce le ricorda, a noi fanno comunque ancora male, nonostante tutto.

Per questo praticamente trovo assurdo adesso ritrovarmi la canna di una pistola spianata davanti agli occhi, proprio come mi sta accadendo. E non riesco neanche a prendere sul serio la logica con cui vengo affrontato, per cui ci sarebbero persone incarcerate che hanno trascorso chissà quanto tempo in più dietro le sbarre di quanto avrebbero dovuto, grazie alle mie semplici opinioni, o meglio, alle mie osservazioni distratte davanti a un giornalista. Sorrido, mi pare che niente di quanto stia accadendo sia realmente da prendere sul serio, e poi in questo momento non potrei proprio fare nulla per rimangiarmi le parole o i gesti con cui mi sono espresso nel passato. Chi mi parla però ha studiato a lungo i miei comportamenti, sapeva di trovarmi da solo oggi in casa mia, ed ha approfittato di questo momento per mettere a punto una giustizia personale che ha maturato nell’arco di chissà quanti anni dentro la sua mente. “Va bene”, dico allora; “Non ho niente da riferire a mia discolpa; se non che adesso ormai sono soltanto un vecchio, lontano dalle istituzioni, e non sono più neppure in grado di fare grossi sbagli”.

Bruno Magnolfi

Non ho potuto che sbagliare.ultima modifica: 2020-09-10T18:07:46+02:00da magnonove
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