Filo di voce.

 

 

Io sono soltanto un rumore qualsiasi nella città, un elemento volatile, del pulviscolo impalpabile; per questo nessuno mi nota quando me ne vado in giro non so neanche io verso dove: un niente completo che vaga senza neppure una ragione vera per tirare avanti, ecco chi sono. Eppure mi disinteresso completamente dei modelli che riempiono le giornate di tutti gli altri che vedo di fronte a me: non ho più neppure bisogno di qualcosa in cui credere, mi basta sapere che non avrei mai il coraggio di fare delle scelte importanti, così lascio che le cose scorrano in autonomia, senza mai preoccuparmene, senza cercare una svolta nel corso del tempo che continuamente mi insegue. Lavoro dentro una radio, porto avanti una trasmissione notturna che probabilmente nessuno vorrebbe curare al mio posto. Entro già tardi la sera dentro al piccolo studio con la testa quasi sempre svuotata di qualsiasi pensiero, mi siedo, aspetto, lascio che il tecnico di là dal vetro insonorizzante mi faccia il solito cenno, poi attacco io a parlare, senza sapere in precedenza di quali argomenti. Dicono che ci sia un numero fisso di affezionati che mi segue ogni notte, ed è per loro che vado avanti, anche se non saprei proprio chi potrebbero mai essere.

Dico delle cose che spesso non hanno né capo né coda, delle riflessioni confuse che non portano mai da alcuna parte, ma che mi escono dall’apparato laringeo con calma, quasi autonomamente, in mezzo a delle pause silenziose, flautate dalla mia voce bisbigliante, un po’ rauca, senza mai alcun accento. Riassumo quello che leggo sui libri, o ciò che gli altri mi dicono durante il giorno, magari mentre acquisto del pane, oppure quando mi fermo dentro un locale a bere una birra. Tutti hanno voglia di parlare di tutto, ed io spesso li ascolto, incamero le loro maniere di esprimersi, i verbi che usano, i soggetti a cui danno credito. Quando poi la notte è il mio turno, ogni dettaglio davanti al microfono si dilata, e allora dico: “possiamo tutti stare tranquilli;  non succederà niente che non sia stato già ampiamente previsto. (…). Possiamo lasciare che le cose corrano ancora per proprio conto, senza mettersi in mezzo, senza opporsi all’andamento normale pianificato”. Qualcuno mi ha detto che dietro alle mie parole c’è quasi un’aura di ribellione, una spinta a coalizzare le forze per rovesciare quanto ci è stato fornito fino ad oggi. Non lo so, non ho una vera opinione a riguardo, mi basta avere il microfono davanti a me per dire qualcosa.

Sembra che qualcuno abbia iniziato a registrare da casa quello che dico, e quando fa giorno a sbobinare con calma ogni parola, ogni frase che pronuncio di notte. Altri vogliono addirittura farne un libro, una serie di precetti messi in fila che indichino a tutti qualcosa che a me sinceramente continua a sfuggire. Ma sono sicuro che alla fine non si darà importanza a nessuna iniziativa di questo genere, perché è giusto così, non c’è alcun bisogno di enfatizzare quanto volteggia sulle onde radio soltanto per riempire qualche vuoto. Il tecnico del suono che fa girare la musica ogni volta che mi prendo una pausa, certe volte mi tratta come se fossi un filosofo della quotidianità, uno capace di leggere negli occhi degli altri le dottrine da cui sono incantati tutti quanti, anche se poi non si rivolge mai a me direttamente, se non per dettagli di natura pratica. Quando me ne vado dagli studi radiofonici so di aver fatto quanto dovevo, né più né meno, senza sentirmi mai soddisfatto, ma neppure provando grandi sentimenti di delusione.

Forse lascerò la radio uno di questi giorni; magari lo farò in un momento in cui il mio pessimismo mostrerà una forza maggiore. Troverò un lavoro vero magari, qualcosa che mi avvicini di più agli altri e non mi faccia sentire sempre senza collegamenti. Adesso non sono proprio nessuno, esattamente un bel niente; soltanto un filo di voce che farfuglia delle sciocchezze alle orecchie di chi ormai è già pieno, anche più che me stesso, di questa realtà.

Bruno Magnolfi

Filo di voce.ultima modifica: 2020-08-20T18:47:26+02:00da magnonove
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