Brutte giornate.

 

“Sono solo”, dico a voce alta tra le pareti dell’appartamento, dentro alle mie piccole tre stanze di questo palazzetto giallo e disadorno, costruito cinquant’anni fa nella periferia industriale cittadina, dove le fabbriche presenti, da quel momento in poi, si sono ritrovate costantemente in crisi, tanto da deprezzare pesantemente anche tutto questo nostro quartiere, e rendere appetibile per tutti andarsene via da queste strade e da queste abitazioni. L’affitto è modesto per fortuna, però starsene in casa in certi giorni è qualcosa che alla lunga lima i nervi in maniera quasi inverosimile. Avverto dei rumori dall’appartamento esattamente simmetrico al mio, che si apre di faccia alla mia porta, sopra al pianerottolo, e penso che il mio vicino stia mostrando in qualche maniera anche a me la sua presenza, la sua situazione presumibilmente simile alla mia, anche se lui abita con la moglie. Fino a qualche tempo fa c’era una ragazza che dormiva da me qualche volta, specialmente nei fine settimana, poi ci siamo litigati, non ricordo neanche bene quale sia stato il vero motivo, e così non ci siamo visti più.

Vorrei che qualcuno ora mi rispondesse subito che non è del tutto così come io credo, che non sono proprio solo, che tutti siamo insieme nella medesima situazione, e che c’è della solidarietà comunque che lavora come un collante tra di noi, anche se a me non pare del tutto vero questo aspetto, ed anzi credo che l’isolamento di adesso per tutti sia ancora più forte che in altri momenti, in questo tempo in cui ciascuno di noi cerca di costruire qualcosa come una corazza di protezione attorno a sé. Non mi interessa niente che dei vicini sentano le mie urla attraverso le pareti, e si figurino che a produrle sia il solito svitato del terzo piano, quello che abita da solo e spesso non saluta neppure quando ti incontra sulle scale. “Ci sono”, vorrei dire a tutti, “sono qua, non sono un fantasma privo di qualsiasi consistenza: ho i miei modi, il mio carattere, la mia maniera di comportarmi quando incontro il vicinato, come chiunque, come ognuno di voi, più o meno gentili, più o meno sociali nel vostro essere degli ordinari cittadini”.

“Sono solo”, riprendo ad urlare dopo un po’; “venite a vedere se non ci credete, è sufficiente vi mettiate ad origliare dall’esterno alla mia porta per rendervene conto, per capire che non riesco più a stare qua dentro senza fare niente, senza occuparmi di nulla che abbia un minimo di senso”. Mi siedo, sto in ascolto per sentire se per caso ci fossero reazioni, ma non avverto alcun rumore adesso, neppure quelli del vicino di fronte al pianerottolo. Allora apro l’unica mia finestra che si affaccia sulla strada, e da lì vedo che non c’è nessuno che gironzola a quest’ora, neppure per andare a fare acquisti. Così torno a chiudere i vetri ed a mettermi seduto.

Dopo un po’ sento che qualcuno mi sta bussando con insistenza, così apro la porta e vedo che c’è il mio vicino di fronte a me ad una certa distanza sopra al pianerottolo, mentre mi chiede se per caso abbia bisogno di qualcosa. “Non lo so”, gli dico confondendomi per la domanda; “stare da soli a volte sembra così  terribile”. Lui mi guarda, dice che sono tempi duri, che ci vuole pazienza, che bisogna essere forti, poi se ne va, rientra lentamente nel proprio appartamento, ed intanto pensa sicuramente che sono sempre il solito, uno che non sa mai stare al proprio posto. Allora prendo una sedia e spacco un vetro della mia finestra, l’unica che si affaccia sulla strada, e poi mi siedo, aspetto che qualcuno si occupi di me, anche se adesso mi vergogno di essere così poco resistente ad un periodo di tempo che torna così difficile per tutti.

Bruno Magnolfi

Brutte giornate.ultima modifica: 2020-04-10T18:22:39+02:00da magnonove
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