Finta libertà.

 

Le giornate scorrono identiche. Entro senza entusiasmo in un piccolo supermercato del mio quartiere all’ora di chiusura, giusto per acquistare qualcosa da mangiare a casa più tardi, ma non so neanche decidere di che cosa avrei davvero voglia. Scorro gli scaffali ed alla fine prendo solo una confezione di birre, del pane e del formaggio, considerato che non ho alcuna intenzione di cucinare. Abitare da soli ha il grande vantaggio di non dover dare spiegazioni a nessuno, anche se è facile così perdere il senso di molte cose. “Soltanto questo” dico alla ragazza seduta alla cassa, mostrando i miei acquisti. Lei mi guarda, non c’è nessun altro dopo di me, perciò se la prende comoda, digita qualcosa svogliatamente, e così appare sul video il conto finale. “Serata fiacca”, fo io tanto per dire una stupidaggine. “Tra un attimo chiudiamo”, fa lei, “ma io sono qui da stamani”. Intanto metto le mie cose con calma in un sacco di carta, e prendo lo scontrino che lei adesso mi porge.

“Se vuoi ti aspetto”, le dico senza neppure riflettere di che cosa sto parlando, però lei subito sorride, poi guarda in basso, ed infine mi fa: “perché no; tanto non ho altro da fare”. Penso di colpo che se le andasse potrei anche acquistare qualcosa di più appetitoso là dentro il negozio, ed improvvisare in questo modo una cenetta appetitosa a casa mia. Ma infine le dico: “possiamo mangiare qualcosa insieme in una tavola calda; non ce la faccio più a passare le serate da solo”. La ragazza annuisce, forse anche per lei le cose girano nella stessa maniera: tornarsene a casa da soli è per chiunque di una tristezza terribile. Le dico che l’aspetto subito fuori dall’entrata del supermercato, e poi esco. Mi piazzo dentro la mia utilitaria ed attendo, e dopo un quarto d’ora lei esce, mostrando che senza quella divisa così anonima sembra proprio un’altra persona.

Penso che adesso questa ragazza sicuramente mi racconterà la storia della sua vita, e della maniera in cui sia finita purtroppo a lavorare in un posto del genere, dopo aver preso per anni lezioni di canto o magari di recitazione, o dopo aver fatto la ballerina per qualche tempo in dei locali senza futuro. Avrà quasi una ventina d’anni meno di me, rifletto, ma questo adesso poco importa, perché probabilmente siamo accumunati da qualcosa che ci brucia all’interno, e non ci lascia alcuno scampo, nonostante sia una specie di sofferenza inspiegabile. Mi dice ciao, entrando in macchina, ed io le sorrido: “c’è un posto dove vado a volte”, le dico; “per me va benissimo”, mi fa, “basta liberarmi la testa da tutti i clienti che chiedono sempre le medesime cose”. Si chiama Clara, mi dice, ma non vuole spiegarmi altro di sé, forse soltanto perché la sua storia è talmente consueta da non portare alcun beneficio alle cose di cui vuole parlare.

“Questo quartiere è uno schifo”, mi fa senza premesse, ed io mi mostro d’accordo, perché in fondo anche io la penso nella stessa maniera, anche se mi sono ormai abituato a viverci dentro. “Certe volte le cose è difficile sceglierle”, dico. Lei abita a sette o otto fermate di tram dal supermercato, ma non le piace neanche lì: “sono tutti impiccioni i miei vicini di casa; controllano quello che faccio ed anche i miei orari”. Annuisco, penso che sia triste accorgersi giorno per giorno che invece di un briciolo di solidarietà, spesso troviamo intorno a noi soltanto chi ti fa la morale, e magari ti guarda con un giudizio già definito su quello che sei. Arriviamo, arresto la macchina, si entra in questo posto che non avevo mai calcolato così triste come lo vedo adesso, però ci sediamo ad un tavolo, ordiniamo qualcosa, e ci guardiamo negli occhi. Siamo esseri di confine penso, creature nate per tirare avanti alla meglio, arrabattarsi, scegliere delle scorciatoie per ogni scopo, e tenersi sempre ai margini di tutto, perché alla fine non ci sentiamo parte di niente. “Prendi pure quello che vuoi, Clara”, le fo. “Qui sono conosciuto, mi fanno credito”. Lei sorride; è bello essere insieme a qualcuno certe volte, mi ritrovo a pensare; anche se in questo momento insieme a questa ragazza mi sento come sempre dentro alla solita gabbia, da cui probabilmente non riusciremo in nessun caso a tirarci fuori, né io e neppure lei; e poi finiremo soltanto per fingere di essere liberi.

Bruno Magnolfi

Finta libertà.ultima modifica: 2020-02-17T20:15:41+01:00da magnonove
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