Avanti comunque.

 

Mio fratello gemello, come lo chiamo io: l’immagine di me dentro il piccolo specchio incorniciato che possiedo da sempre, che spesso mi ha aiutato nella mia solitudine, suggerendo comportamenti, idee, scelte; ormai si è fatto quasi un pensiero inerte, un semplice elemento della mia giornata che ancora resiste e che forse mi osserva sopra al piano di un mobile dentro l’appartamento, ma non produce più impulsi, opinioni, critiche, come faceva una volta. Forse mi sento più libero dal suo giudizio tagliente, ma in ogni caso di me ho maturato negli ultimi tempi una coscienza maggiore, una più forte fiducia nelle mie potenzialità, ed anche una necessità di considerare meno gli oggetti che mi circondano, a vantaggio magari delle persone.

La mia collega mi ha telefonato, qualche tempo fa, e così finalmente ci siamo visti un pomeriggio per andarcene in un caffè della zona. Abbiamo parlato, come è naturale, senza svelare troppe cose della nostra diversa intimità, divertendoci a conoscere qualcosa di noi senza per questo approfondire eccessivamente i tanti aspetti. Poi sono tornato al lavoro, dopo la lunga malattia che mi ha costretto al riposo forzato, ed ho scoperto di essere stato trasferito al piano superiore nel palazzo della pubblica amministrazione, e di avere così nuovi colleghi, quasi tutte donne, e di non avere più niente a che fare con l’archivio e con quei faldoni polverosi che odiavo.

Non è cambiato molto, a dire la verità, però si è modificato quel tanto che basta per farmi stare meglio: non ho grandi rapporti umani neppure adesso con gli altri impiegati, considerato che sono rimasto uno che se ne sta volentieri per i fatti propri; ma almeno adesso non sento parlare continuamente e soltanto di calcio, come avveniva costantemente al piano inferiore. Le ragazze che si trovano a questo piano sono gentili, educate, anche premurose, non fanno dei capannelli continui attorno alle macchine per il caffè, ed anche se le vedo spesso chiacchierare lungo i corridoi o nelle varie stanze, lo fanno con garbo, senza sentire mai la necessità di alzare la voce.

Con la mia collega del cuore ci salutiamo qua dentro con normalità, come fossimo assolutamente chiunque, in modo da non destare sospetti, anche se sono sicuro torneremo a vederci uno di questi giorni. Mi piace avere un rapporto preferenziale con lei senza che gli altri sospettino minimamente qualcosa, è come avere un alleato segreto, un doppio spessore nella giornata. Dentro la mia cartella proseguo a portare il mio specchio, ma mi basta sentirne la presenza là dentro per stare tranquillo, e non provo il bisogno di tornare a guardarlo o di saggiarne la superficie.

Ci sono dei momenti durante la giornata di lavoro, in cui mi chiedo ancora a cosa possa portare quello che faccio, però non ho quasi più la preoccupazione di sentirmi del tutto inutile, un impiegato qualsiasi che si è ritrovato tra questi uffici quasi per caso, senza avere nemmeno una motivazione qualsiasi per occuparmi delle cose a cui devo dar seguito. Comunque, anche se non sono del tutto contento del mio lavoro, in ogni caso sto diventando sempre più un impiegato come lo sono tutti gli altri, indifferenziati, spersi tra queste scrivanie e i corridoi, e pronto a scambiare e a parlare degli argomenti comuni, quelli che a lungo andare sembrano essere sempre gli stessi, che legano tra loro però tutte le ore dei giorni e dei mesi che trascorriamo qua dentro, e che alla fine sono l’unico vero collante che riesce a tenere insieme tante diverse persone, forse con poca individualità, ma comunque piegate alla necessità di mandare avanti le cose.

Bruno Magnolfi

Avanti comunque.ultima modifica: 2019-10-13T20:23:58+02:00da magnonove
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