Reazione composta.

 

“Buongiorno”, dico per automatismo ad un paio di colleghi che stanno discutendo di qualcosa, mentre io scorro lungo il corridoio degli uffici. Poi appoggio la cartella dei documenti sopra la mia scrivania, a dire la verità quasi vuota, mi siedo per un attimo sopra la seggiolina di stoffa imbottita e subito mi sento stanco, privo di qualsiasi energia. Vorrei quasi tornare indietro, dire a tutti che non sto ancora bene, che ho sbagliato a rientrare al lavoro, non sono ancora perfettamente guarito. Poi mi calmo, guardo una piccola macchia sul muro davanti a me, forse una mosca rimasta là sopra da chissà quanto tempo, o magari un piccolo ragno uscito fuori con il caldo dell’estate e poi spiaccicato improvvisamente da qualche collega su quella parete.

Devo farmi forza, rifletto, resistere il più possibile e cercare di far scorrere la giornata, magari pensando a qualcosa che mi porti il più possibile lontano da qui. Guardo dentro ai cassetti alla mia destra ma ci sono soltanto le solite cose che conosco, poi mi concentro su un semplice registro cartaceo che da qualche settimana ho messo sul piano del tavolo senza decidermi mai a consultarlo. Ci sono degli elenchi di persone che risultano inadempienti, e per questo motivo devono essere accertate le reali condizioni in cui versano. Ma siccome l’elenco è ormai vecchio, probabilmente non corrisponde neanche più alla realtà. Fingo di lavorare insomma, ed intanto penso a qualche espediente per far trascorre tutto il tempo di questa giornata.

Si fa vedere nel corridoio il nostro dirigente, e dice che dobbiamo essere più precisi nella comunicazione dei dati che mettiamo a punto nel nostro lavoro. Tutti rispondono che non ci sono problemi, sarà fatto senz’altro, ogni richiesta sarà assolutamente esaudita. Lui ride, sa che dietro ai modi scherzosi di ogni impiegato le cose possono veramente tendere a migliorare, basta non prendere quei lavoratori che adesso ha di fronte con dei sistemi troppo severi, che probabilmente porterebbero soltanto ad un irrigidimento di ogni rapporto, fatto negativo per chiunque là dentro. Allora mi alzo dalla mia sedia, gli vado incontro, attendo che sia solo, lo saluto con seria cortesia, ed infine gli comunico che non sono tranquillo.

“Qualcosa non va”, gli dico subito; “qua dentro ci perdiamo spesso in troppe stupidaggini, e poi ci ritroviamo il più delle volte a guardarci di traverso senza neppure sapere perché. E poi in certe giornate siamo anche stanchi, stufi della monotonia di questo mestiere”. Lui mi guarda con espressione seria e un po’ sospettosa, dice che ogni malessere rimane un elemento del tutto personale, e come tale deve essere trattato, perciò se desidero iniziare a spiegargli quale sia la mia sofferenza, lui può anche ascoltarmi, ma se ho voglia soltanto di fare un discorso generico che valga per tutti, allora è semplicemente una perdita di tempo per me e anche per lui. Resto perplesso lasciando una pausa a seguito delle sue parole, e lui ne approfitta per guardare verso un altrove che in un attimo lo trascina verso un altro impiegato, forse dimenticandosi in un solo momento di quanto gli ho appena riferito.

Va bene, rifletto. In fondo non mi aspettavo da lui una vera reazione.

Bruno Magnolfi

 

Reazione composta.ultima modifica: 2019-09-30T20:26:56+02:00da magnonove
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