Nulla di fatto.

 

Sto fermo dentro l’abitacolo della mia macchina ferma e con i fari spenti, in questo buio che mi appare senza significato. Se ripenso soltanto a qualche anno fa, mi pare quasi impossibile essere qui a mandare avanti questa inspiegabile attività. Intorno a me non c’è null’altro che lo stesso asfalto deserto di ogni notte, tanto che la mia auto come al solito finge di essere stata lasciata qui da qualcuno forse molto distratto, il quale probabilmente, dopo aver assistito alla partita di calcio, sovrappensiero,  è tornato a casa con i propri piedi oppure con un mezzo pubblico. Per un breve periodo ho anche lavorato nella cucina di un ristorante, in qualità di lavapiatti, e siccome tutti là dentro andavano di corsa, per me a volte era piacevole anche mettermi a guardare il loro impegno, mentre tenevo le mani a bagno nell’acqua calda e saponata.

Forse per me è arrivato il momento di lasciare anche questo lavoro di sorvegliante, e di spiegare ai miei capi senza mezzi termini che sono ormai stanco di guardare nel buio verso qualche macchina di ragazzi che semplicemente si divertono, o cose di quel genere. Dei soldi che ho guadagnato fino adesso sono riuscito a lasciarne da parte una modica quantità, quindi per un periodo di tempo posso guardarmi attorno, e vedere con calma cosa riesco a mettere insieme con le mie capacità. Per certi versi mi piaceva stare in cucina, era quasi come sentirsi in una squadra che affronta ogni sera un nemico rapido ed esigente. Mi piacevano le fumate di cibo sopra ai fornelli, ed il cuoco che impartiva gli ordini. Venni via da lì perché sapevo che non ci si deve mai legare troppo ad un unico mestiere.

Adesso è quasi la stessa cosa, se non che qui ci sono troppe cose che ancora io non ho capito, ma so che continuando in questo modo non credo proprio riuscirò mai a comprenderle, ed è facile mi lasci andare sempre di più, abbattuto e lontano da quanto sarebbe giusto conoscere per uno che svolge questo mestiere. Così prendo il mio cellulare, quasi di getto, e rapidamente scrivo un semplice messaggio ai miei capi, in cui spiego in due parole che non so più che cosa sto facendo in questo posto accanto allo stadio, e che mi sembra assurdo continuare in questo modo, a far la guardia di notte di un parcheggio vuoto dove non succede niente.

Poi torno a guardare fuori dai finestrini della mia macchina, ma non c’è nessuno, così metto in moto e compio un giro lentamente, senza interesse, cercando con desiderio almeno un’altra macchina ferma da qualche parte. Il mio telefono tace, forse non avrò dai miei capi una risposta in tempi rapidi, rifletto; probabilmente tutto andrà a finire cosi, senza più nulla: domani loro mi chiederanno di lasciare questo luogo e di non tornarci, poi mi verseranno gli ultimi soldi sul mio conto bancario, e tutto finirà in questa maniera, senza spiegazioni, e senza che io abbia potuto neppure vedere in faccia qualcuno tra di loro.

Improvvisamente invece mi affianca un’auto, giungendo di fretta chissà da dove. Abbassano il finestrino, mi puntano un faro negli occhi e mi chiamano a voce alta col mio nome. Sono i miei capi penso, così non mi sottraggo alla loro perlustrazione; dico soltanto in modo che mi sentano, che io non so bene chi abbia di fronte, né perché conoscono il mio nome. Loro mi dicono soltanto di ripetere il senso del messaggio, ma io adesso mi sento forte per essere riuscito a snidarli dal loro rifugio. Dico che scherzavo, che va tutto bene, che avevo soltanto voglia di dare loro una piccola scossa. Se ne vanno con le gomme che fischiano e a fari spenti, ed io rimango lì come uno sciocco, senza essere riuscito a combinare proprio un bel niente.

Bruno Magnolfi

Nulla di fatto.ultima modifica: 2019-02-25T20:04:29+01:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo