Inaccettabile distrarsi.

 

Il parcheggio dell’aeroporto è costantemente pieno di macchine ferme. Alla fine di una mattinata qualunque, vado a girare a piedi là in mezzo come fingendo di cercare qualcosa, quindi mi fermo al centro di una fila ben sistemata, e poi vado subito a guardarne un’altra. Nessuno mi osserva, sembra che non interessi a nessuno che io gironzoli curiosando da queste parti. Infine giunge un’auto, qualcuno scende, si prendono i bagagli, si va via, verso gli aerei, e poi basta. Torno verso il varco di uscita, nessuno mi chiede niente, non c’è nessun controllo in giro, di alcun genere.

Poi arriva una macchina con due poliziotti, parlano tra loro, mi guardano per un attimo, ma forse non interessa loro la mia fisionomia, probabilmente stanno cercando qualcun altro, magari seguendo una segnalazione precisa. Me ne vado, mi pare che qui non ci sia proprio nulla da fare. Torno verso casa, parcheggio la mia utilitaria, salgo nel mio appartamento e mi piazzo seduto davanti al televisore, sapendo per certo che la mia scontentezza non mi abbandonerà facilmente. Mi chiedo quale sia il vero motivo di tutto, per quale strampalata ragione le persone si cercano e poi si evitano, continuamente, come se fosse un gioco messo su da un perfetto squilibrato.

Probabilmente non troverò mai nulla di quanto vado cercando: sono senz’altro da solo in questa città di estranei a svolgere un ruolo che per quanto io stesso non riesca a spiegare il motivo per spingerlo avanti, interessa per forza qualcuno, nonostante ogni ipotesi prosegua a risultare almeno a me del tutto incomprensibile. Per una qualche ragione appare fondamentale che tutto ciò che capita all’interno di questo benedetto parcheggio intorno allo stadio del calcio, dove io ogni notte faccio la ronda, sia rilevato e controllato, senza che tutto questo meriti una qualsiasi razionale spiegazione. Ma anche se a me va bene così, perché alla fine lo stipendio mi arriva, di fatto certe volte mi torna assurdo perfino cercare di capirne qualcosa di più.

Il mio cellulare resta muto, perché dopo gli ultimi messaggi che ho scambiato in questi ultimi giorni con i miei capi, non ho ricevuto più nulla, se non l’ordine secco secondo il quale devo proseguire con la mia attività, come sempre. Quando si sono avvicinati a me l’altra sera, puntandomi una forte luce negli occhi, purtroppo non ho potuto vedere un bel niente: quale macchina avessero, in quanti fossero all’interno dell’abitacolo, le loro facce, le loro espressioni, un bel niente. Ho potuto soltanto comprendere le parole che mi venivano dette, pronunciate come da una voce qualsiasi, camuffata dal rumore fragoroso del potente motore della loro automobile.

Che cosa importa, penso adesso davanti alla televisione; l’esistenza è fatta così: si tratta di proseguire diritti verso una meta un po’ assurda, senza chiedersi niente, camminando in avanti senza sapere il perché e senza conoscere la direzione precisa. Non mi lamento di certo, so stare al mio posto se qualcuno lo chiede. Mi piacerebbe soltanto che qualcuno mi dicesse qualcosa di più, ma so farne anche a meno. Poi prendo in mano la mia fedele pistola: ho sempre questa per proteggermi penso, nel caso in cui le cose si mettessero al peggio. Non mi sento libero, questa è la sensazione che mi pesa di più; e questo fare qualcosa di impegnativo senza sapere a che serva, mi rende nervoso, irascibile, privo della calma che ci vorrebbe per svolgere tutto in maniera positiva.

Continuo ad osservare in modo estremamente distratto, sullo schermo televisivo di fronte, un film di cui non ho visto l’inizio, evitando adesso perfino di seguire i dialoghi, anche se in ogni momento mi sembra di conoscere tutti gli attori che recitano, come fossero veri personaggi della mia giornata. Infine spengo l’apparecchio: devo riposarmi penso; stasera dovrò riprendere servizio come sempre, e non posso certo essere stanco, perché non sarebbe affatto accettabile.

Bruno Magnolfi

Inaccettabile distrarsi.ultima modifica: 2019-02-27T21:10:00+01:00da magnonove
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