Fermo sopra lo spartitraffico del viale principale, indico agli automobilisti di passaggio qualcosa laggiù in fondo alla fila degli alberi. Qualcuno si volta a guardare, altri forse riescono a comprendere subito che non sono del tutto normale, perché io a tratti rido, parlo da solo, mi muovo in un modo forse un po’ ambiguo, perciò non sono certo uno che vada considerato. E a me cosa importa, penso, mi sento libero di fare quello che voglio, non ho consuetudini da rispettare, mi innamoro con facilità di un’immagine, di una sensazione, a volte di un solo e semplice colore.
Accolgo nei miei pensieri queste persone qualsiasi che da me si tengono regolarmente alla larga, li abbraccio tutti in un unico ragionamento, non ho alcuna necessità di una loro condivisione. Penso quello che voglio, loro facciano uguale, sono comunque distante da tutto questo, e poi più mi sento lontano, maggiormente sono sicuro di essere vicino e solidale con tutto quanto. Poi osservo la fila di macchine lungo il viale, adesso sono ferme, attendono che qualcosa succeda, che il semaforo conceda via libera, oppure che i veicoli coinvolti in un piccolo incidente siano rimossi dalla carreggiata. Intanto me ne vado, raggiungo un punto di osservazione meno coinvolgente, maggiormente tranquillo, così mi siedo ad un tavolo di questo locale all’aperto.
Un tizio dice che è accaduto qualcosa, ma è una scusa come un’altra per dare a tutti e anche a me il proprio commento, il proprio scontato parere da uomo di strada. Rido, qualcuno che non conosco mi offre qualcosa da bere, ed io lo accetto, va sempre bene quando si ricevono delle gentilezze, penso. Infine mi alzo, ho voglia di parlare con una persona che abbia voglia almeno di ascoltarmi, così mi appoggio al bancone, ma il tizio di prima si accosta a me e sorride, poi dice semplicemente che non dobbiamo fare caso a tutte queste sciocchezze. Lui è l’incarnazione del saggio dei nostri tempi, penso, colui che interpreta per conto degli altri qualsiasi cosa possa succedere. Gli dico che secondo me lui è la tipica persona a cui non dare alcun credito, lui dice lo stesso di me, e allora rido, rido con tutto me stesso, e alla fine sento che non mi importa un bel niente di tutta questa faccenda.
Torno sul viale da solo, adesso sembra che la viabilità scorra tranquilla, così mi piazzo di nuovo sullo spartitraffico e osservo la realtà che mi scorre di fronte. Credo sia doveroso mostrarsi quello che siamo, perciò inizierò a scansare sempre più spesso coloro che non fanno così. Accade un altro incidente lungo il viale, vedo le persone che escono dai loro veicoli e si scambiano tra loro parole accese, forse addirittura qualche imprecazione. Potrei ridere di tutto questo, invece mi avvicino, mi incuriosisco di quanto sta accadendo. Qualcuno allora mi scansa con un gesto della mano inequivocabile, ed è giusto, dico tra me, non c’entra niente che stia qui a farmi beffe di tutti. Rido mentre mi appresto ad allontanarmi, e riprendo quasi subito ad indicare agli automobilisti qualcosa che sta un po’ più avanti, oltre loro, qualcosa che immagino non riusciranno comunque in nessun caso a vedere, troppo persi nelle proprie piccole cose, troppo chiusi nel loro piccolo egoismo di intraprendenti che devono aprirsi la strada, troppo fermi nel loro credo che li omologa e li rende riconoscibili nel gruppo; ma cosa importa, penso, in fondo è giusto così.
Bruno Magnolfi