Più in là di quanto sembri (piccola commedia n. 5).

 

Tutto appare quasi come una cosa semplice, pur essendo al contrario molto complessa. Lei è in casa, seduta, osserva a tratti il telefono sopra al mobile del piccolo corridoio, immaginando come potrebbe essere in quel momento la voce di lui. C’è ormai una distanza incommensurabile, pensa, inutile fingere. Poi si alza, va in cucina, apre il frigorifero. Potrebbe cucinarsi un uovo per la sera, accompagnarlo con delle verdure, e poi ha ancora del pane del giorno avanti, insomma in qualche maniera la cena è sicuramente garantita. Ma a dire la verità lei non ha più voglia di molte cose, forse neppure di mangiare, e probabilmente anche questa attività la compie ormai solo per abitudine, per impiegare in qualche modo una parte del suo tempo libero, giusto per riempirlo, insomma. Qualcuno dopo un attimo bussa alla porta, lei apre, è la sua vicina del piano di sotto.

Come va, le chiede entrando quella; al solito, fa lei, questa specie di convalescenza sembra quasi peggiore della malattia. Devi deciderti a riprendere la tua normalità, fa l’altra, non puoi continuare in questo modo. Non ancora, fa lei, devo aspettare che tutto sia chiaro, che tutte le parole, i fatti, i gesti, i pensieri, siano sistemati in fila, che mostrino il senso che hanno, senza più alcuna ambiguità. Ho un po’ di carne fredda, fa la vicina, proviamo a mangiare assieme, così magari parli un po’ e riesci a stare meglio, ti va? Va bene, fa lei, basta che tu non mi faccia delle domande dirette. D’accordo, dice la vicina, allora vado a prendere quello che serve.

È appena rimasta sola, lei, ha accostato semplicemente il portoncino del suo appartamento quando suona il telefono. Vorrebbe probabilmente precipitarsi a rispondere, ma si impone un comportamento misurato, senza alcuna fretta. Quando alza il ricevitore le trema leggermente la mano, ma sente nell’apparecchio soltanto il segnale acustico. Forse era lui, pensa. Allora inizia a parlare tra sé: non importa, dice, che tu abbia lasciato che le cose corressero per proprio conto, senza interessartene; non importa neanche che il tuo progressivo distacco abbia lasciato un vuoto che forse ti ha divertito le volte in cui hai notato la mia stupida angoscia che montava. È importante però, con il tuo comportamento, che tu abbia  azzerato senza rendertene conto tutto il passato tra noi, rendendolo una piccola cosa, una sciocchezza quasi senza importanza.

Torna la vicina con una cesta piena di cose, apparecchia subito la tavola e in fretta sistema tutto. Lei si schernisce e dice che non merita neppure gentilezze del genere. So cosa stai passando, fa l’altra, un po’ di attenzioni da parte di qualcuno sono quello che ti ci vuole. Dopo poco si siedono, affettano il pane, si servono di quello che è stato sistemato sopra la tavola. Lei dice con gli occhi ancora bassi che forse sente dentro di sé aprirsi uno spiraglio per uscire dalla sua depressione. La vicina se ne rallegra, la invita a mangiare di più, a bere, a lasciarsi andare.

Suona di nuovo il telefono, lei si alza con modi estremamente rallentati, l’altra la guarda negli occhi, sembra quasi volerla sostenere per una prova importante. Lei raggiunge l’apparecchio sul mobile nel corridoio, alza il ricevitore, dice pronto, con semplicità. C’è lui all’altro capo del telefono, e dice con voce bassa che gli dispiace le cose siano andate in quel modo, e che la colpa in fondo è soltanto sua, anche se adesso si rende pienamente conto che forse non è più possibile recuperare niente tra loro, e che magari non sarebbe neppure il caso di parlarsi ancora, di vedersi di nuovo, addirittura, se pur avessero un minimo di volontà per riprovare.

Lei lo ascolta, poi, dopo una pausa annuisce: hai ragione, dice, non è più possibile niente  tra noi, e perfino questa telefonata dovrà ormai essere messa in archivio come l’ultima.

Bruno Magnolfi

Più in là di quanto sembri (piccola commedia n. 5).ultima modifica: 2014-06-18T20:56:01+02:00da magnonove
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