Uno di noi.

 

<<Non lo so, non ho studiato>>, rispondo alla maestra che mi chiede, davanti a tutto il resto della classe, quale sia il soggetto e quale il verbo di una frase qualsiasi che ha appena scritto con il gesso alla lavagna. Lei oggi sembra particolarmente docile e propensa ad aiutarmi, così invece di insistere mi chiede, senza alzare la voce, il motivo per cui non mi sono preparato. Io prendo tempo, lascio in aria una lunga pausa vuota, durante la quale semplicemente osservo, senza abbassare lo sguardo, l’insieme dell’immagine che ho di fronte: la cattedra, l’insegnante seduta, la nuca dei miei compagni che sono nei banchi delle prime file, e poi la luce obliqua che sta penetrando dai finestroni che si aprono su un lato della nostra aula scolastica. Infine, senza troppo imbarazzo, dico soltanto che ho impiegato tutto il pomeriggio precedente ad osservare degli insetti molto indaffarati intorno ad una piccola pianta dentro un vaso. I compagni scoppiano subito a ridere, e forse questa a loro sembra magari la scusa più assurda che abbiano mai sentito, ma siccome è la verità, io non vacillo, e mi sento assolutamente pronto a sostenere quanto ho appena riferito. La maestra forse comprende il mio stato d’animo e persino le mie ragioni, tanto che non insiste, fa segno di sedermi, e poi mi raccomanda soltanto di studiare ciò che spiega il libro ad una certa pagina che mi indica con estrema precisione, e subito dopo mi dice che domani mi porrà la medesima domanda.

Mi siedo, sento di apparire come un tipo strano agli occhi dei compagni, ma forse questa è anche la maniera che ho per costruirmi una personalità spiccata agli occhi di tutti, in grado di dimostrare il possesso di capacità che per altri non sembrano neppure degne di attenzione, almeno in questo momento. So che la maestra, invece, almeno parzialmente, ha compreso le mie doti, e qualche volta mi asseconda, senza insistere a torturarmi come fa con altri, ma questo a mio parere non è ancora sufficiente, in quanto i miei desideri restano quelli della semplice e piena libertà dell’imparare, e perdermi magari per intere giornate a comprendere qualcosa che per tutti appare completamente inutile. In fondo questa è la mia indole: quella di imbambolare la mia mente nella curiosità di comprendere come funziona qualcosa, da cosa sia costituito un certo materiale, cosa pensano gli altri, oppure come si comportano certi animali, e magari il motivo che hanno per agire in quel particolare modo. Non mi sembrano affatto sciocchezze, anche se pare proprio che a nessuno interessi comprendere le cose che invece attirano la mia attenzione, però sono quasi convinto di essere nel giusto, e che prima o dopo qualcuno finirà persino per convincersi di questo.

Adesso osservo il niente mentre sto da solo dietro al banco del ricevimento di questo albergo, e mi pare che a quell’epoca non ci fosse poi niente di particolarmente diverso rispetto ad oggi: sono un tipo schivo, assolutamente, abituato alla solitudine e ai pensieri divergenti più che alle parole da pronunciare verso qualcuno. Mi perdo, mentre stillo il mio tempo, nella necessità di cambiare qualche dettaglio di comportamento da quel me stesso in quei lontani ricordi, che appaiono nitidi però nella mia mente, tanto da farmi ancora arrossire, qualche volta. Vorrei forse essermi comportato in maniera differente, almeno in qualche occasione, e sono sicuro che diverse cose avrebbero potuto andare in maniera piuttosto diversa anche più tardi. La curiosità che mi veniva naturale in quei giorni mi portava ogni volta verso traiettorie stravaganti, a percorrere delle riflessioni piuttosto ardite, che la maggior parte delle volte tenevo ovviamente celate dentro me stesso.

<<Bravo>>, mi dice a volte qualcuno dei compagni, sorridendo; <<sei stato coraggioso ad inventarti una cosa di quel genere. In fondo, alla maestra piacciono le storie un po’ diverse, e mostra di cadere facilmente nel tranello, fino a credere davvero che tu possa comportarti in quel modo che hai spiegato, invece di studiare>>. Sorrido, in fondo anche se la verità la conosco solamente io, non mi interessa convincere qualcuno della mia incapacità di sparare delle balle. <<Sei in gamba, Paolo>>, insiste il mio compagno di banco, certe volte. <<Sei uno di noi>> mi dice, anche se a nessuno verrebbe mai a mente di invitarmi a fare qualcosa insieme a lui. Conosco la logica che regna tra i ragazzi della mia stessa età: sono pronti a batterti una pacca sulla spalla quando comprendono che stai facendo qualcosa di diverso da tutti gli altri, salvo poi tenersi bene alla larga dai miei comportamenti abituali e persino dalla mia presenza. Mi torna difficile avvicinarmi ad un gruppetto che parla di qualcosa durante il quarto d’ora destinato alla ricreazione. Tutti cambiano improvvisamente i loro discorsi, mi guardano come fossi un turista straniero che cerca di chiedere un’informazione non conoscendo troppo la lingua del luogo. Mi tollerano, ma alla fine non mi accolgono mai del tutto in mezzo a loro. Tutto, forse, sarebbe stato diverso, penso adesso, se soltanto mi fossi dimostrato più socievole.

 

Bruno Magnolfi

Uno di noi.ultima modifica: 2024-03-12T18:53:56+01:00da magnonove
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