Destra e sinistra.

 

In certi momenti mi sembra che tutto sia semplice, anche possibile, perfino senza troppo impegno. Ma questa sensazione dura sempre poco, sfortunatamente, e questi pensieri si trasformano rapidamente nella lenta realtà quotidiana. Lavoro sull’escavatore per parecchie ore al giorno, generalmente a preparare gli spazi per le fondazioni di grossi edifici, e smuovo la terra da una parte all’altra dei cantieri, lo faccio da così tanti anni ormai che a volte, come dice spesso il mio capo per spronarmi, mi sembra persino impossibile di avere spalato nella vita la quantità totale di una montagna intera, anche se è proprio in questo modo. Destra, sinistra, sopra, sotto, il camion è piazzato di là, fallo mettere più vicino, io mi muovo sui cingoli di qua, mi accosto il più possibile, le vibrazioni del motore che sono tutta la mia compagnia durante le ore, e la benna in cima al braccio meccanico che muove il materiale, poi scava, entra, scarica, fino a quando non abbiamo terminato. Poi si ricomincia.

Quando spengo il mio mezzo e guardo quello che ho fatto in una giornata di lavoro, mi sembra quasi impossibile, poi torno a casa ed avrei voglia di muovere le braccia e le mani davanti a me come fossi ancora dentro la cabina: destra, sinistra, sopra, sotto. Le leve per azionare l’olio in pressione sono fredde anche se bruciano, agiscono soltanto dietro al mio comando, non hanno la coscienza dell’errore o del lavoro fatto male. Il mio capo dice che sono il migliore sopra al mio mezzo, ma io gli sorrido senza rispondere: al prossimo piccolo sbaglio che faccio, rifletto, sarò di nuovo uno che non vale niente, come succede in ogni occasione.

Quando scendo dai cingoli e controllo le trincee, osservo le misurazioni che mi sono state date, allora mi sento nuovamente un uomo, con i piedi sopra la terra fresca, smossa, lavorata, ammorbidita dalla benna e dai miei pensieri che proseguono a dare una forma a ciò che per natura non ne avrebbe, trasformandomi da quell’automa che segue i disegni, i picchetti segnaletici, le quote previste, gli urli del mio capo e dei camionisti, in una persona con le mani, con le gambe, forse con una testa, come tutti. Rimetto gasolio, cambio la benna, mi fermo per una semplice manutenzione, ingrasso il braccio, poi richiudo il vetro della cabina e vado avanti.

Dietro di me i ferraioli e i carpentieri già hanno iniziato a calare le armature dentro le fosse, e certe volte mi dicono qualcosa: due centimetri sul fianco, oppure troppo fondo, era meglio se stavi più aderente al primo progetto. Poi ci si scambiano i segnali: guarda di là, avvicinati qui, stai meno inclinato, tutte cose dette con il solo uso delle mani, mentre il motore prosegue con il suo forte ronzio incessante a coprire i fischi e gli stridori dei cingoli metallici che si muovono più avanti e poi più indietro, destra e poi sinistra, senza mai una vera fine.

È il mio mestiere, dico a mia moglie qualche volta, ma sempre meno spesso. Lei annuisce, vorrebbe che lavorassi un po’ di meno, che fossi più disponibile, meno nervoso quando torno la sera. Non è possibile, le dico, dalla mia attività dipende quella degli altri. Però forse ha ragione, ormai ho qualche anno, dovrei pensare a me stesso, alla mia salute, a tutto quello che ho tralasciato da sempre. E poi la mia testa quando resto fermo, inizia girare per proprio conto, come fossi ancora in cabina; e allora destra, sinistra, alto, basso, come se tutte le azioni meccaniche del giorno mi accompagnassero ancora, senza lasciarmi.

Bruno Magnolfi

Destra e sinistra.ultima modifica: 2019-11-27T19:43:57+01:00da magnonove
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