Dimenticanze correnti.

 

Fuori dai vetri il pomeriggio mostra adesso la sua luce più densa, e le cime degli alberi in fila disegnano come delle ombre allungate di identiche meridiane lungo la strada asfaltata di fronte. Lei, dentro al salotto dell’appartamento, si muove nervosa con il suo sguardo pungente, quasi alla ricerca di qualcosa di cui preoccuparsi; lui, assunta la posa consueta dell’indifferenza, prosegue a consultare svogliatamente degli appunti e delle carte afferenti al proprio lavoro. “Sarà l’età”, fa lei, “ma quest’anno sono veramente sfinita. E poi non riesco più a dormire bene, mi sveglio, visiono brandelli di sogni realistici di cui non ricordo mai niente, e proseguo per tutta la notte a girarmi nel letto alla ricerca di posizioni più comode che però non trovo mai. Prendere qualche giorno di vacanza comunque, sarebbe soltanto un palliativo che accantona momentaneamente le cose, lasciando ogni problema esattamente al suo posto”.

Lui annuisce senza dire niente, quindi si alza dalla poltrona, muove due passi, ed appoggia i suoi fogli sul tavolo. “Potresti andare da tua sorella per il fine settimana”, le suggerisce alla fine con voce monocorde. “Non è una vacanza, è soltanto una visita di cortesia. Tanto io mi arrangio benissimo anche da solo, e poi ho parecchio da lavorare, per cui in sostanza potrebbe essere per la tua stanchezza la soluzione migliore”. Lei l’osserva per un attimo, non dice niente, lascia che quanto ha appena ascoltato si depositi come polvere densa sugli oggetti e sui mobili di tutta la stanza, infine torna a guardare qualcosa che forse vede soltanto lei fuori dalle vetrate. Lungo la strada le macchine e le persone scorrono con finta indifferenza alla ricerca di qualcosa da cui essere attratti; dall’appartamento silenzioso, osservando il loro passaggio, sembrano tutti come la costituzione continua di un gioco estenuante che si protrae all’infinito, senza la necessità di alcun intervento superiore.

“Forse sono annoiata”, fa lei. “Mi sembra certe volte come se tutte le cose fossero sempre le medesime, senza possibilità di alcuna variazione”. “E tu cosa vorresti cambiare”, fa lui; “magari le tue abitudini, oppure qualcosa che hai attorno, la casa, la città, forse il clima di questa stagione, prima freddo, poi caldo, senza che si possa mai neppure indicare una vera preferenza”. “Non fare facili ironie”, dice lei; “non sto chiedendo chissà cosa, soltanto togliermi di dosso questa cappa antipatica di debole sofferenza, come se non fossi più in grado di pensare al domani in termini un po’ più positivi. Mi guardo allo specchio e mi vedo ogni giorno soltanto peggiorata, e qualsiasi cosa riesca a fare mi sembra semplicemente un atto dovuto da parte della realtà, e non un punto d’arrivo o un traguardo”.

Lui allora lentamente le va più vicino, come per abbracciarla, forse per farle sentire che le concede il suo appoggio, la sua comprensione, il proprio sostegno, ma lei si volta, come per scansare qualcosa che probabilmente fa parte del repertorio usuale di uno spettacolo già risaputo. “Va bene”, dice poi quasi con uno scatto nervoso; “più tardi chiamerò mia sorella. In fondo mi può soltanto far bene stare con lei, parlare un po’ della famiglia, dei vecchi ricordi, delle risate di un tempo. Andare a casa sua sarà una volta di più quasi come tornare indietro nel tempo; e magari dimenticarmi per un giorno o anche due di tutto il resto”.

Bruno Magnolfi

Dimenticanze correnti.ultima modifica: 2019-06-09T21:20:26+02:00da magnonove
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