Complesse affezioni.

Cerco qualcosa da fare. L’appartamento pare vuoto a volte,  insulso, una scatola per topi. Giro per le stanze senza trovare pace. I miei pensieri in certi casi sembrano come recitati nella mia testa da due voci stridule che si sovrappongono dicendo però le medesime cose, e le loro parole confuse, senza conclusioni, sembrano dettarmi dei comportamenti strampalati, delle idee assurde, degli irreali modi di fare.

Apro la porta, esco sul pianerottolo: c’è fresco, e mi prende una vaga sensazione di echi di voci che paiono rincorrersi lungo le scale, quasi un prolungamento esatto dei miei pensieri. Non c’è molta luce, ma a me piace stare qui,  in questo limbo nascosto, quasi immobile. Non è molto che abito queste stanze, mi pare quasi di non conoscere nessuno del vicinato, se non in maniera talmente superficiale da risultare delle semplici sfumature di estraneità.

Sento dei rumori, si apre d’improvviso il portoncino di fronte al mio, sullo stesso piccolo pianerottolo: il solito dirimpettaio che esce sempre a quest’ora, immagino subito. Lui mi guarda mentre richiude, saluta, forse vorrebbe chiedermi qualcosa, ma non lo fa. Io invece, anche per dare un senso al mio trovarmi in questa situazione, dico subito: senta, lei probabilmente potrebbe aiutarmi; basterebbe mi dedicasse un po’ del suo tempo, sarebbe sufficiente che la sera passasse da me e mi leggesse qualcosa, per esempio, giusto per farmi compagnia, la mia solitudine spesso mi spaventa.

L’altro si ferma, mi guarda con indifferenza, ascolta tutto quello che ho da dire, poi riprende il suo passo per scendere le scale. Non ho tempo, dice; ma io questo già lo immaginavo. Aspetti, insisto, basterebbero anche cinque minuti ogni tanto forse, giusto per farmi avvertire la presenza di qualcun altro tra le mura del mio appartamento. Adesso lui neanche risponde, se ne va senza rallentare minimamente, sento il rumore dei suoi passi affrettati che escono infine all’aperto, sul marciapiede dabbasso.

Sorrido, in fondo sapevo perfettamente che sarei stato trattato così. Non che sia falso ciò che gli ho riferito, piuttosto non è lui il tipo di persona che accetterebbe mai una cosa del genere. Infine controllo di avere in tasca la chiave, chiudo la porta dietro di me e cerco di seguirlo. Lungo la strada però non c’è nessuno, e il mio vicino è gia sparito, così mi piazzo con le braccia conserte davanti al portone del condominio. Arriva una ragazza che conosco di vista, buongiorno le dico, cercando di fare un sorriso. Lei risponde sottovoce al saluto, ma neppure mi guarda.

Risalgo, non c’è nulla da fare, sono destinato a starmene in casa circondato dal niente, così entro e mi siedo, le mani alla testa, quasi disperato. Infine torno ad aprire la porta, esco di nuovo sul pianerottolo. Qualcuno parla a voce alta nel chiuso di un appartamento del piano di sopra. Salgo, mi fermo vicino al portone da dove si sentono giungere le voci, e sto in questa posizione per un po’. Alla fine esce una donna che neppure conosco, mi guarda, chiude la porta alle sue spalle, mi chiede se per caso ho necessità di qualcosa. No, le rispondo; vorrei solo parlare con qualcuno, ma nessuno ha tempo per me. Mi dispiace, fa lei, e se ne va.

Rientro in casa, vado alla finestra, guardo la strada. Sento bussare alla porta. Apro, è il mio dirimpettaio che sta rientrando. Senza dire niente mi porge un biglietto con su scritto un indirizzo e un numero di telefono. Prenda un appuntamento con questo luminare, dice: è una grande persona, vedrà che potrà fare molto per lei. Resto stupito, guardo il foglietto, sto per ribattere che non sono ammalato, che non ho bisogno di farmaci o sedute psicanalitiche, sono semplicemente una persona che si sente un po’ sola, ma quello intanto si è già voltato verso la sua porta, la apre sorridendo: arrivederci, mi dice.

Bruno Magnolfi

Complesse affezioni.ultima modifica: 2014-07-18T12:01:20+02:00da magnonove
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