Va bene (cortometraggio n. 7).

Il dolore sottile a tratti sembra pulsare sotto la sua pelle sporca. Il ragazzo a terra adesso neppure si lamenta, aspetta soltanto che accada qualcosa di positivo, come una mano magica che improvvisamente lo sollevi da quella posizione, e forse lo rimetta in sella alla sua bicicletta, fino a che tutto torni com’era stato appena un attimo prima. Forse non è niente di grave, pensa intensamente, forse tutto è ancora facilmente rimediabile. Sta fermo, immobile, ma in fretta giunge dentro di sé la più forte disperazione: sicuramente non potrà mai più camminare come prima, dovrà passare lunghi periodi di ospedalizzazione, forse si susseguiranno delle operazioni chirurgiche sul suo corpo, e tutto per una stupida caduta.

Il ragazzo affonda il viso in una mano, si sente quasi perduto, ma poi riflette che non dovrebbe pensare soltanto a se stesso, e chissà quanti altri ragazzi della sua stessa età hanno subìto una situazione del genere, o magari anche peggio, bisogna essere forti, si dice. Però ci sono i suoi genitori che soffriranno per lui: è ben chiaro, lo aiuteranno per quanto sia possibile nel lungo decorso del tutto inevitabile, ma in loro ristagnerà per chissà quanto tempo una pena inalienabile, che a lui certe sere sembrerà di non poter sopportare, quasi come la stessa esistenza trascorsa d’ora in avanti a trascinare una gamba, e a non essere mai più quello che era stato una volta. Se ci pensa gli pare adesso incredibile essersi andato ad infilare per quel viottolo sassoso, così, da solo, soltanto per il semplice gusto di vedere dove lo avrebbe portato.

Stava bene, era contento appena un attimo fa, tutto sembrava perfetto per quella pedalata nel sole, a caccia di qualcosa da vedere, di cui rendersi conto. Adesso, sforzandosi, riesce anche andare a ritroso in tutti i dettagli, fino proprio al momento di uscire da casa, quando aveva messo ai piedi le scarpe da ginnastica, aveva inforcato la sua bicicletta e via, a pedalare senza preoccuparsi di nulla. Perché qualcosa non lo ha trattenuto, pensa ora; perché non si è messo in garage ad ingrassare il cambio e la catena della sua bicicletta, come peraltro aveva deciso di fare per quel pomeriggio. Che senso ha tutto questo, riflette ancora, che se ne faranno mai gli altri di uno come me, ridotto così, in uno stato a dir poco pietoso.

Poi pensa a qualcuno che passando da lì potrebbe soccorrerlo, ma subito dopo allontana dai suoi pensieri affannosi quel momento, come se le parole e lo sguardo di qualche sconosciuto fossero la prova definitiva che è successo proprio a lui tutto quanto, e che non è un incubo o la sua fantasia galoppante: sta succedendo davvero, è proprio lui quello a terra, che sta subendo tutto quanto il disastro. Allora si osserva attorno, si solleva leggermente facendo forza sulle sue braccia, si siede sui sassi, sente i graffi sui gomiti e alle mani, poi con coraggio muove una gamba, poi anche l’altra. La bicicletta è lì accanto, non sembra neppure troppo rovinata. Infine prova a rialzarsi, inizialmente i dolori sono forti, forse avrà lividi da tutte le parti, pensa, ma alla fine riesce a mettersi in piedi: non è andata male, sono intero, pensa, è tutto molto meglio di quanto avevo previsto.

Arriva un passante, lo guarda senza avere niente da dire, si avvicina con calma al semplice ritmo della sua passeggiata. È in quel momento che il ragazzo comincia a ridere; guarda l’espressione meravigliata dell’uomo vicino e ride ancora di più. Continua a ridere quasi senza potersi fermare, mentre l’altro lo prende forse per uno svitato. Poi gli viene improvvisamente da piangere, per sé, per tutti gli altri, non lo sa neanche lui. Guarda ancora quell’uomo che adesso si è fermato davanti, forse vorrebbe addirittura abbracciarlo, mentre le lacrime gli scorrono lungo le guance, magari vorrebbe dirgli qualcosa, spiegare cosa è successo, ma in fondo non ha alcuna importanza: va bene così.

Bruno Magnolfi

Va bene (cortometraggio n. 7).ultima modifica: 2014-04-16T21:03:07+02:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo