Senza una vera strada (ritratto n. 14).

Questa panchina è rigida, non è possibile stare seduti a lungo sopra a questo ferro duro e freddo; diventa necessario dopo un po’ almeno alzarsi e fare un giro, muovere le gambe insomma, scorrere senza fretta lungo questi marciapiedi, magari alla ricerca di qualche curiosità da cogliere sulla faccia o nei gesti dei passanti, oppure, con maggiore apparente attenzione, direttamente nelle vetrine e tra i clienti dei negozi.

Non è facile in una città come questa ritrovarsi tanto tempo libero e nessun soldo nelle tasche: si gira, ci si siede per dieci minuti, ci si concentra su qualcosa, tanto per darsi l’aria di chi va come in cerca di qualcosa di preciso, anche se non è del tutto vero. Ci sono i pensieri che accompagnano ogni movimento, le riflessioni sterminate su qualsiasi cosa possa accendere la fantasia o il ricordo, ma il resto ha semplicemente la consistenza della polvere.

Quando è nuvoloso si può attendere il sole, quando fa troppo caldo si cerca l’ombra; ma quando piove tutto è notevolmente più difficile. Nel sottopasso del viale è possibile rannicchiarsi su un gradino ed ascoltare le ruote delle auto che schizzano l’acqua dalle pozze, stando lì assolutamente fermi, come se niente valesse la pena di qualsiasi movimento. Una donna accanto osserva tutto, sembra quasi non sia possibile sfuggirle qualche cosa a giudicare dai suoi occhi vigili; si muove, cerca qualcosa in una busta, pare indaffarata ma attentissima a ciò che le sta attorno. Chiede a qualcuno che ora sia, ma si vede distintamente che non le interessa affatto.

Poi inizia a cantare ad alta voce, qualcosa in francese, mai sentito, una canzone melodiosa che non c’entra niente con la sua faccia e neppure con quei suoi modi di fare. Qualcuno si ferma ad ascoltarla, lei prende maggiore coraggio, si fa piu decisa nell’intonazione, la sua voce adesso è più profonda, allunga le note, elabora un vibrato stretto e gentile, qualcosa di discretamente piacevole all’ascolto. Probabilmente è stata una professionista qualche tempo fa, o forse no, ma adesso regala la sua voce a tutti coloro che hanno semplicemente voglia di ascoltarla.

Inizia a muovere le braccia a un certo punto, cambia tipo di canzone, pare non ricordarsi neppure bene le parole, ma non fa niente, prosegue ugualmente nella sua intonazione riverberata da questo luogo di passaggio eppure chiuso. Fuori prosegue a piovere, qualcuno impreca e molti tentano di perdere del tempo nell’attesa che magari smetta. Per questo la gente che si ferma attorno a questa donna pare sempre più numerosa, forse qualcuno potrebbe raccogliere addirittura degli spiccioli per lei, ma proprio nel momento in cui tutti la seguono, e quando ognuno sembra sia perfino incantato ad ascoltarla, ecco che lei smette.

Basta; non dice niente, si scosta, riprende a muoversi velocemente nel sottopasso e a fare le proprie cose come prima, e la sua voce è già lontana, persa da qualche parte, come se non ci fosse più per lei alcuna possibilità. Poi va a sedersi sul gradino, trova finalmente qualcosa nella busta che ha con sé, pare una fotografia, la guarda, sembra commuoversi, ma infine dice qualcosa ad una persona accanto: smetterà di piovere, spiega frettolosamente, ne sono più che sicura; però devo andare in fretta, subito dopo, camminare svelta per la strada, perché lo so che sono già in ritardo.

Bruno Magnolfi

Senza una vera strada (ritratto n. 14).ultima modifica: 2014-04-01T21:05:03+02:00da magnonove
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