Viaggio di un giorno ordinario

Certe volte, quando stiamo lontano da casa e dalle nostre piccole sicurezze, può nascere dentro di noi una nostalgia per qualcosa che neppure sappiamo, una necessità inappagata di essere differenti, incarnati in altre persone, modellati in altre fattezze e modi di essere. Cerchiamo noi stessi in chi ci sta attorno, conservando della nostra iniziale personalità solo una sfumatura, nient’altro.

Si cammina, si osserva le cose, tutto è oltremodo effimero, fugace, passeggero. Si incontra qualcuno, si chiede sorridendo una strada, un posto che pare emerga improvviso da una memoria improbabile, che stiamo inventando al momento, ma in cui riconosciamo una parte importante, qualcosa che è stato, come il fantasma di un corpo che si è mosso realmente su quei marciapiedi.

Raggiungiamo un numero civico, un edificio apparentemente qualsiasi, ma che emerge dalle nebbie di una memoria che non abbiamo, ma che ugualmente ci guida. C’è un piccolo negozio, proprio lì, in quel posto dove ci aspettavamo di trovarlo, con la vetrina incorniciata di smalto verde bottiglia. Potrebbe essere un rigattiere, per quanto ne possiamo sapere, invece vende generi alimentari,ed entriamo, senza sapere che cosa ci serve, o se vogliamo acquistare qualcosa.

Ci sono alcuni clienti, gente che abita in quel quartiere, chiedono le cose in una lingua a noi quasi sconosciuta, ma comprendiamo che cercano di allungare i discorsi, di essere spiritosi e gentili, di parlare del tempo, di coinvolgere gli altri nelle loro chiacchiere da intrattenimento. Sta a noi, infine, e indichiamo del pane, un salume, del formaggio piazzato nella vetrina del bancone, e si sorride, si, certo, anche noi vorremmo parlare del tempo e di tutte le altre cose che sono ordinarie per tutti quei clienti. Ci osservano, gli altri rimangono lì e ascoltano il nostro disagio, guardano i gesti che si compie con le mani che disegnano in aria; ci guardano, e sanno qualcosa che noi non sappiamo, ma che urge, è impellente, così uno di loro ci aiuta, dice qualcosa interpretando il nostro pensiero, e noi capiamo immediatamente che era proprio quello che avevamo voglia di dire.

“Si, si, va bene, è proprio quello che pensavo…”, diceva lui sfoderando il suo corpo in quell’entusiasmo crescente. “E’ tutto esattamente come ogni volta l’avevo immaginato: i sorrisi, le parole, le intuizioni di questa giornata qualsiasi con il cuore di un giorno speciale. Sono qui, con voi, mescolato in questo mondo fatto di niente, che ci riserva delle sorprese qualche volta, e ci spiega la nostra sensibilità quale sia, dove sta il semplice essere uomini e donne…”.

Poi usciamo, la prospettiva si piega, l’immagine si inclina fondendo in un altro disegno, una fotografia differente, ma ciò che rimane è dentro di noi, e in nessun altro.

Bruno Magnolfi

Viaggio di un giorno ordinarioultima modifica: 2010-07-12T13:57:09+02:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo