La ricerca di un motivo per piangere

L’automobile correva lungo l’autostrada. La donna aveva appena detto come a se stessa, ma con modo sgarbato, che quel viaggio le pareva ogni volta più lungo. L’uomo alla guida aveva fatto soltanto una smorfia col viso, senza aprire la bocca. Poi, dopo una pausa lunga più di un chilometro, aveva parlato, pur senza entusiasmo: “Ci possiamo fermare, giusto per muovere un poco le gambe…”. “Va bene”, aveva risposto lei, “Ho proprio bisogno di un buon caffè”.
La giornata era tiepida, riscaldata da un pallido sole che si muoveva con lentezza tra strisce sottili di nuvole. Il paesaggio era piatto, campagna a perdita d’occhio e nient’altro di rilevante. L’automobile parve respirare con il motore che scendeva di giri mentre accostavano al parcheggio dell’area di servizio; la donna prese la borsetta dal sedile posteriore e scese per prima, movendo le gambe inguainate dentro alle calze con sincronia quasi perfetta.
Al bar non c’era nessuno, solo un signore vestito con sufficiente eleganza ed una faccia apparentemente pronta al sorriso. La donna si sedette ad uno dei tavolini, accavallò immediatamente le gambe con gesto studiato e lasciò che il signore ben vestito, in piedi al bancone, le desse un’occhiata.
Persisteva una musichetta di fondo dentro al locale, quasi un ronzio di voci e chitarre, il barista dette l’impulso alla macchina per i caffè e poco dopo li servì all’uomo, rimasto in piedi ad aspettare. Lui prese le tazze e le portò fino al tavolino, sedendosi a sua volta di fianco alla donna.
“Che posto insignificante”, disse lei sollevando il caffè come fosse la sua medicina. L’uomo guardò il signore ben vestito che a sua volta si era messo ad osservare qualcosa fuori dai vetri; infine replicò: “Non ci vedo niente di strano, un posto qualsiasi, ecco tutto…”.
L’aria là dentro era ferma, un senso di uguale e ripetitivo pareva sottolineare l’appartenenza del luogo a tutta l’autostrada, all’asfalto identico, al viaggiare noioso, un mondo frutto di uno stupido motore a quattro tempi, e nient’altro. Intanto il signore ben vestito aveva fatto due o tre passi svogliatamente dentro al locale, poi aveva preso una sedia, con calma, ed era andato a sistemarsi al tavolino della donna e dell’uomo, con modi di fare del tutto naturali.
“Ho una pistola nella tasca dove sta la mia mano, aprite i portafogli senza farvi notare e datemi tutti i contanti che avete”. L’uomo abbassò il suo caffè con la sorpresa dipinta sul viso, la donna finse un comportamento seccato, il barista continuava a sistemare tazzine e bicchieri dietro al suo banco.
Tutto si svolse in fretta e senza incidenti, il signore ben vestito si alzò e raggiunse la porta dopo aver intimato ai due di rimanere seduti per almeno dieci minuti. Quando infine si alzarono la donna dentro alla borsa trovò qualche spicciolo per pagare i caffè, e uscirono storditi giusto per salire sulla loro automobile, senza affrettarsi, in perfetto silenzio. Quando lasciarono il parcheggio dell’area di servizio la donna fece un singhiozzo di pianto, ma l’uomo non seppe neppure spiegarsi il perché.

Bruno Magnolfi

La ricerca di un motivo per piangereultima modifica: 2010-07-07T17:56:58+02:00da magnonove
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