Elisa a Natale

Molte volte si era ripetuta tra sé nei momenti in cui lo sconforto era stato maggiore, che lo svolgere quel lavoro di positivo aveva diversi elementi: le permetteva di conoscere molte persone, per esempio, di interagire con loro, di imparare cosa dire, come sorridere, come parlare, in poche parole ad essere più socievole di come non fosse mai stata in precedenza. Ma non era facile, neppure così, neanche con l’entusiasmo che continuamente cercava di avere, affrontare i problemi che ogni giorno le si presentavano. Erano trascorsi solo due mesi da quando era stata assunta come commessa in quel negozio di abiti confezionati per uomo e per donna, e certi giorni per lei erano stati davvero duri, pesanti, infiniti, quasi insopportabili. Le era stato detto già al primo giorno che non c’era una scuola, doveva essere sveglia, imparare da sé, fare quello che facevano le altre, le sue colleghe, non c’era il tempo per darle consigli. E lei aveva fatto così, pur avendo tantissimi dubbi. Poi, dopo la prima settimana si era sentita più forte. Però non riusciva a capire perché quei clienti certe volte fossero così scortesi, aggressivi, mai soddisfatti. Se assumeva l’espressione della servizievole, della vittima a disposizione di chi voleva provare le giacche, le camicie, le gonne, i calzoni e tutto quello che era esposto dentro al negozio, allora era peggio. L’unica possibilità per resistere era quella di dare poca importanza a ciò che veniva richiesto, ascoltare una persona alla volta e incoraggiarla il più presto possibile a comprare ciò per cui era entrata dentro al negozio, magari usando soltanto un semplice gesto, un’espressione del viso, o una brevissima frase, o uno stupido giudizio affettato. Il cliente alcune volte non chiedeva nient’altro se non quel minimo apprezzamento, quel surrogato sociale di incoraggiamento alla vita, quella semplice spinta a stare con gli altri, a sentirsi bene con gli altri, ed era sufficiente quella sua convinzione, non occorreva nient’altro. Lei certe volte si vergognava di quei modi che imparava ad usare, si sentiva finta, ridicola, insulsa, ma vedeva le altre colleghe più esperte di lei e capiva che era quello il modello a cui stare dietro. Però con tutte quelle ore in piedi ogni giorno a fare la sorridente con tutti per quei pochi soldi, e con un contratto che scadeva dopo sei mesi, le pareva che il mondo reale fosse più triste di quello che si era aspettata. Elisa aveva quasi vent’anni, si era presa quel diploma irreale ed inutile con sacrificio, perché studiare e andarsene a scuola non le piaceva, e quindi aveva cercato un lavoro appena le era stato possibile, con gioia, con un senso di liberazione, e aveva girato e bussato alle porte di tutti, solo per rendersi conto in un anno di tempo che era ben più difficile di quello che aveva pensato. Poi era capitata quella occasione, tramite qualche amicizia dei suoi genitori, e si era ritrovata lì, ad occuparsi di taglie, colori e camerini di prova, ma lei si sentiva una tosta, non avrebbe mollato, voleva un lavoro e quello era tale. Poi era arrivato il periodo di Natale, e tutto si era complicato in un modo incredibile: non vedeva neanche più le persone dentro al negozio, correva avanti e indietro cercando di dire a tutti le medesime cose, sorridendo quando era il momento, ripiegando continuamente camicie provate che non andavano bene e spiegandone altre, per cercare lo stile, il colore, la maniera di far contento il cliente. Poi, nella confusione di un pomeriggio identico a tutti, era arrivato quel ragazzo carino, un po’ timido, che era entrato dentro al negozio con le idee poco chiare; sottovoce le aveva chiesto qualcosa, una camicia e una giacca, e lei si era subito immedesimata nei pensieri di lui, quasi come se i loro desideri fossero identici. Elisa gli aveva consigliato i capi di abbigliamento migliori, o quelli che a lei piacevano di più, ma soprattutto aveva visto le cose tramite lui, attraverso i suoi occhi, i suoi modi, i suoi gusti, i suoi giudizi garbati, senza spiegarsi il perché. Lui si era lasciato convincere, la giacca che Elisa aveva consigliato andava benissimo, anche la camicia, le aveva spiegato che era per andare a una festa, a una cena importante, e lei lo aveva visto già lì, in mezzo alla gente, con la sua giacca, con quella camicia e quei suoi modi cortesi. Poi lui era andato alla cassa, aveva pagato, si era fatto piegare la camicia e la giacca dentro a una busta e si era incamminato verso la porta, già proiettato al di fuori da lì, come tutti i clienti quando ormai avevano scelto, quando soddisfatti lasciavano tutto alle spalle, ma prima di uscire era tornato un momento da Elisa: “Grazie”, le aveva detto con semplicità, “Vorrei tanto tu fossi con me a quella festa…”.

Bruno Magnolfi

Elisa a Nataleultima modifica: 2009-12-15T21:18:57+01:00da magnonove
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