Neve di marzo

Durante la notte, sull’erba e sugli alberi della collina, era caduta una spolverata di neve, l’ultima di tutto l’inverno, anche se Alessio, mentre ascoltava il gracchiare della sua radio-sveglia, ancora non lo sapeva. Il freddo dentro alla stanza però lo aveva già percepito, così ritardava quell’attimo odioso in cui avrebbe dovuto abbandonare il calduccio del letto, fingendo per questo di ascoltare con interesse la radio. Interruppero la programmazione di musica, a un tratto, per dare la notizia che Aldo Moro era stato rapito. La sera precedente erano stati da lui due suoi amici, a fargli un po’ compagnia in quella casa in campagna, enorme e poco ospitale, dove Alessio avrebbe abitato ancora per un breve periodo, aspettando la casa in città che gli era stata promessa; avevano acceso il fuoco ridendo e cenato con un buon fiasco di vino. Erano stati bene, avevano riso di tutto, ma quando se n’erano andati lui aveva avvertito, nel ritrovato silenzio, il solito topolino che squittiva nascosto in qualche angolo oscuro. C’era un fascino ad abitare da solo in un posto del genere, nonostante tutte le oggettive scomodità, e lui, durante quell’ultimo mese, ci si era adagiato con tutto se stesso, come per appagarsi di un’esperienza mai più ripetibile. Infine si alzò, accese la stufa, si lavò in maniera sommaria con un po’ d’acqua tiepida, e si fece un caffè. La radio intanto continuava a dare notizie attorno a quel rapimento. Guardò l’orologio: tra un’ora avrebbe dovuto trovarsi in facoltà, parlare con l’assistente per alcuni dettagli sulla sua tesi, si doveva sbrigare, e comunque era già più che convinto che non sarebbe mai arrivato in orario. Poi pensò che forse l’università sarebbe rimasta chiusa quel giorno, avrebbero indetto assemblee in considerazione di quanto accaduto, improvvisato manifestazioni, chissà che cos’altro, e questo pensiero fu sufficiente a farlo desistere da qualsiasi proposito. Si accostò alla finestra per vedere la giornata in quella debole luce della mattina di quell’ultimo scorcio d’inverno, e vide la neve. Si vestì in fretta con abbigliamento pesante, poi uscì subito per godersi la vista della campagna innevata. A passo svelto, lungo il margine della strada asfaltata, arrivò fino al paese, distante poco più di un chilometro; nella piazzetta entrò dentro all’unico bar già pieno di gente, giusto per mangiarsi una brioche e un caffelatte, e trovò la conferma di quanto accaduto, visto che tutti parlavano soltanto di quella notizia. La televisione accesa in un angolo trasmetteva a getto continuo informazioni e commenti, e un vago senso di precario e di incerto si avvertiva nell’aria. Tornò verso casa quando quel sottile strato di neve tendeva già a sciogliersi sotto al sole brillante della primavera che premeva alle porte, e quando fu giunto nel corridoio, si accorse di avere le scarpe quasi tutte bagnate. Le tolse, indossò velocemente un paio di pantofole, poi si accorse che quel topolino che girava per casa da giorni, era lì, in mezzo alla stanza. Prese una scopa senza fare rumore, ma quando cercò di andargli vicino, quello andò subito a infilarsi sotto all’armadio. Fu una battaglia, il topolino si sentiva braccato, e Alessio gli toglieva via via qualsiasi possibilità di nascondersi ancora, spostando dei mobili e chiudendo passaggi. Alla fine quel topo sbucò lungo la parete più libera, ma la scopa arrivò più svelta di lui, stringendolo contro quel muro e uccidendolo. Alessio ebbe pena di lui, quando lo osservò con maggiore attenzione: piccolo, marrone, col musetto simpatico. Lo sotterrò in una piccola buca fuori da casa, sotto alla neve e a qualche centimetro di terra gelata. Poi tornò in casa e riaccese la radio: non si parlava di altro, su qualsiasi stazione, e in un attimo, tra un commento concitato e quell’altro, Alessio capì che nessuno lo avrebbe più visto vivo, quell’uomo che avevano rapito: troppo scomodo, come quel topo, lo avrebbero ammazzato senz’altro, pensò; probabilmente nessuno avrebbe dato un bel niente per la sua vita, ed anche se era facile pensare che un sentimento di dispiacere in qualcuno si sarebbe manifestato senz’altro, tutto questo non avrebbe, neppure di un minimo, cambiato le cose.

Bruno Magnolfi

Neve di marzoultima modifica: 2009-09-22T15:52:01+02:00da magnonove
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Un pensiero su “Neve di marzo

  1. il tempo non ha sbiadito il ricordo di quei giorni che sono impressi, ormai nella storia del nostro paese, a distanza di tanti anni, non si pò non provare ancora piccolissime vertigini nel ricordare quegli anni, quei giorni difficili.

    Il racconto descrive un giorno come tanti, vissuti nell’incertezza di quegli anni, da studente universitario fuori sede, prossimo alla laurea. Quato impegno e quanta forza bisognava avere per andare avanti , senza demoralizzarsi, senza cedere allo sconforto. Impegnati ogn giorno a difendere le proprie scelte di vita, le proprie convinzioni, i propri ideali .
    Anni complessi che concisero con le lotte di classe, con le lotte studentesche, e operaie, con le chiusure ad oltranza delle università, delle fabbriche, lotte che videro, imbrattarsi di sangue le strade e le piazze delle periferie italiane, delle fabbriche e delle università. 15 mila attentati, 394 morti, 1033 feriti, miglia di studenti, militanti di partito, operai processati, condannati; una guerra feroce, niente affatto marginale: le bombe di Brescia , di P.Fontana, dell’Italicus, e pù tardi di Bologna, le morti senza senso di cittadini ignari, di passanti, di studenti, uno tra tanti,”Emauele Juri 20 anni inciampato per caso in 70 proiettili, nel tiro incrociato, tra polizia e un commando di “Prima linea” a Sesto San Giovanni(MI). Anni di segrete convivenze di quei poteri sotterranei che hanno deviato, indagini, rallentato i processi, e garantito l’impunità ai colpeoli
    Ma di quegli anni è impossibile non ricordare la sconfitta provata quel giorno, per qel rapimento, e per quella successiva morte avvenuta 55 giorni dopo.
    E’emblematica l’immagie del topolino utilizzata dall’autore per rappresentare quell’evento, ma che in parte rappresenta la morte dell’ideologia, del pensiero libero, della democrazia in cui molti di noi,(di quei ragazzi di allora) credevano, e credono ancora.
    Il tempo ha asciugato quel sangue, ha lasciato evaporare la rabbia e le lacrime, ma la delusione, e il ricordo di quei giorno resta.

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