Forse si è solo allentata una coppiglia, pensava Alfredo mentre continuava a lavorare con il suo escavatore. Quando arrivava a tirare su la terra ed il fango per sistemarla sull’argine del fosso, ecco che sentiva una specie di scatto e un cigolio. Si era fermato, era sceso dalla cabina, aveva dato un’occhiata al braccio meccanico. Sembrava tutto a posto, forse era soltanto un po’ di gioco sul perno principale, aveva sentenziato tra sé. Però non si sentiva tranquillo, era da solo a lavorare in quel tratto di campagna, alla manutenzione del fosso di bonifica, se l’escavatore si fosse inceppato avrebbe dovuto piantare lì tutto e andare a cercare un meccanico.
Il suo lavoro era monotono, sempre con il ronzio del motore dentro le orecchie, e poi quelle leve da azionare sempre alla stessa maniera, con morbidezza, ad evitare scatti repentini del braccio. Si faceva l’abitudine a tutto, anche alla ripetizione ossessiva di quelle operazioni: muoversi in avanti sui cingoli di un paio di metri, ruotare la cabina, abbassare il braccio, azionare la benna, e così via, fino a non pensare neanche più a ciò che si stava facendo, visto che quei medesimi gesti parevano quasi andare avanti da sé.
Quel pomeriggio era bello, la terra nei campi vicini appariva più scura del solito, a contrastare con il cielo limpido, privo di nubi. La strada asfaltata dove Alfredo aveva parcheggiato la sua auto, era circa un chilometro più avanti, nella direzione dell’argine; a lui non pesava starsene lì tutto il giorno: ci avrebbe impiegato due settimane a far tutto, ma a lui gli piaceva quel lavoro, liberare la fossa prima delle piogge invernali era un servizio importante, allontanava la possibilità degli allagamenti, quindi era un bene per tutti, e lui si sentiva orgoglioso di farlo.
Pensava proprio questo quando, lentamente, camminando lungo il ciglio rialzato, si era avvicinato un ragazzo, avrà avuto vent’anni, forse anche meno; aveva atteso che Alfredo fermasse il braccio del suo escavatore, lasciando rallentare il motore affinché il rumore non coprisse le sue parole, poi si era accostato alla cabina, e infine aveva detto: ho perso il mio cane da queste parti, è stato ieri mattina. E’ un boxer, ha fatto una corsa dietro a qualcosa ed è sparito dentro alla vegetazione di quei cespugli laggiù. Lei lo ha visto, per caso? Alfredo disse di no, però ricordava di aver notato qualcosa che si muoveva, appunto il giorno passato; qualcosa nell’erba più alta, oltre l’argine opposto, tanto che lui si era fermato per capire cos’era, ma non aveva visto nient’altro.
La ringrazio, disse il ragazzo, e con la medesima camminata con cui era arrivato, tornò sui suoi passi. Alfredo spinse la leva dei giri del motore e rimise in funzione il suo escavatore, continuando il lavoro. Non passò molto tempo, forse un’ora, il ragazzo era sparito, forse era già andato via, e smovendo la fanghiglia del fosso Alfredo vide che c’era qualcosa. Scalzò la terra con delicatezza, girò attorno a quel punto con la benna quasi fosse la sua stessa mano, e poco per volta tirò su il corpo di un cane, indubbiamente proprio quel boxer che cercava il ragazzo. Lo depose sull’argine, poi scese dalla cabina.
Non ci pensò neanche molto, tornò ai comandi del suo escavatore e fece una buca lì accanto, sul punto più alto, ma abbastanza profonda, poi sotterrò quel povero cane, ricoprendolo poco per volta, con attenzione. Alla fine scese di nuovo e preso un piccolo ramo di un albero, lo piantò nella terra, come per la segnalazione di quella sepoltura. Forse il ragazzo sarebbe tornato, pensò, avrebbe potuto ritrovare quel posto. Dopo si sentì debole, Alfredo, anche stanco, quasi senza forze, e fu forse contento di sentirsi così. Allora piazzò l’escavatore in posizione di sicurezza, come sempre faceva alla sera, spense il motore e chiuse a chiave la cabina, in piedi sul cingolo: per quel giorno non aveva più voglia di andare ancora avanti con la pulizia di quel fosso, e poi quella macchina aveva qualcosa che non era a posto, sarebbe dovuto tornare il giorno seguente con il meccanico, pensò, e poi bisognava avere rispetto, per adesso in quella campagna era giusto regnasse il silenzio.
Bruno Magnolfi