la realtà fuori da qui

Solo, tra queste stanze che conosco a menadito, mi intrattengo con i pensieri di sempre mentre cerco di trovare una forma diversa alle mie giornate. Viene una donna ogni giorno per un paio d’ore, mi porta qualcosa per pranzo, si occupa della mia casa. Il resto del tempo per me è composto da luci basse, silenzio, piccoli spostamenti dentro l’appartamento. Una volta alla settimana viene un’assistente del servizio sanitario, generalmente il giovedì, a volte arrivano in due, si piazzano seduti, mi guardano, riempiono i loro questionari, fanno delle domande e spesso ripetono le medesime.

L’altro giorno, mentre ero andato a prendere qualcosa in un’altra stanza, ho sentito che dicevano tra loro che non era più il caso di tenermi da solo, e secondo uno dei due era opportuno chiudermi dentro una clinica, anche se l’altro sembrava più cauto. Così ho deciso di fuggire. Il mio problema è che da anni non esco di casa, probabilmente da quando è morta la mamma: quella volta mi chiusi nel più profondo silenzio, e per mesi non detti retta a nessuno. In seguito riuscirono a farmi riprendere a parlare e a mangiare, ma non ho più voluto abbandonare le stanze del mio appartamento.

Solo a pensare alle strade, alla città, a tutta le persone che camminano come tante formiche lungo quei marciapiedi, mi prende un tremore profondo, una repulsione che non so controllare. Sento il mio corpo muoversi goffamente, percepisco il mio essere inadatto alle cose degli altri. La mia testa non riesce a pensare la fretta, prendere decisioni, avere iniziative. Eppure adesso sa cosa deve affrontare. Voglio andar via, non so dove, perché così resto prigioniero della mia inadeguatezza, lascio che altri decidano tutto per me, della mia vita, delle mie giornate composte esclusivamente di pensieri.

L’ultimo questionario degli assistenti era diverso, trattava anche di cose intime, mi ha messo fortemente a disagio e così ho rifiutato di collaborare. Allora mi hanno osservato, fermi seduti davanti a me come stavano; hanno parlato tra loro sottovoce senza farmi capire, sono tornati a guardarmi tante e tante volte. Hanno scritto qualcosa sopra i loro fogli, d’altronde come hanno sempre fatto, poi hanno alzato gli occhi e hanno ripreso di nuovo ad osservarmi. Voglio fuggire da queste persone, pensavo, devo proprio farlo.

Ho atteso che la donna che si occupa della mia casa avesse finito con le sue attività, ho risposto al saluto quando si è messa il soprabito per andarsene via, ho lasciato che chiudesse la porta del mio appartamento alle sue spalle. Per un attimo ho immaginato di essere lei. Poi ho preso l’impermeabile dentro l’armadio, l’ho indossato e ben chiuso di tutti i bottoni, infine ho aperto la porta, ho lasciato un saluto alla mamma e sono uscito. Era pomeriggio, mi sono subito reso conto di questo, per le scale non ho incontrato nessuno, quindi ho preso a camminare lungo la strada.

Ho girato senza badare a niente, se non al mio camminare e basta, ma poi alla fine mi sono sentito stanco e vuoto. Non so dove mi trovassi, ma quando ho visto una persona in uniforme ho detto il mio nome ed ho chiesto di aiutarmi. Non posso decidere da solo, ho pensato. Devo parlarne con la mamma, forse devo portarla assieme a me. Perché senza di lei non ho mai fatto niente, non posso iniziare proprio adesso.

Bruno Magnolfi

la realtà fuori da quiultima modifica: 2010-07-23T20:38:21+02:00da magnonove
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