Una coscienza di civiltà

L’uomo passò buona parte del pomeriggio sprofondato nella sua comoda poltrona. Aveva sfogliato un giornale lasciandosi catturare da alcuni articoli sulla politica, e in seguito aveva letto qualche pagina di un libro che portava avanti da un mese ricordando purtroppo ben poco delle pagine precedenti. Infine si lasciò catturare dalla finissima polvere d’oro nell’aria illuminata da una porzione di raggi di sole filtranti dalla finestra che aveva davanti, godendo di quel senso di pace che emanava da tutto l’insieme di quella stanza tranquilla, addormentandosi pur senza sonno.

Immagini confuse di persone che discutevano tra loro senza averne un vero motivo, passarono davanti ai suoi occhi chiusi, dando il sapore di qualcosa che procede, segue un percorso, arranca cercando uno spiraglio di verità. C’erano alcuni suoi amici in quel tratto di strada, ma lui non conosceva il quartiere, anche se assieme a tutte le altre persone camminava con passo deciso per raggiungere qualcosa di importante, un edificio, una piazza, un punto preciso di quella parte di città di cui si sentiva curioso, dove forse era possibile scoprire qualcosa, raggiungere altre persone, visionare le certezze di cui il gruppo mostrava conoscenza.

L’uomo si riscosse avanti che il sogno gli rivelasse che cosa si nascondeva in fondo al tragitto, e al suo risveglio la stanza si mostrò identica, solo con i raggi del sole maggiormente inclinati e di un colore più caldo, quasi a mostrargli la fusione graduale del pomeriggio con la serata. Improvvisamente gli parve che il suo perdere tempo in quella poltrona fosse un elemento offensivo della sua dignità, del suo essere persona, e volle alzarsi da lì, fare qualcosa, occuparsi di quanto c’era da prendere in seria considerazione, ma siccome non gli venne a mente nessuna cosa precisa di cui occuparsi, decise di restare ancora un po’ lì, a riflettere meglio. Allora sentì dei rumori nella stanza vicina, qualcosa che disturbava in modo sconsiderato quei suoi pensieri fondamentali, quella sua ricerca affannosa del motivo principale di cui sentirsi uomo, persona, essere pensante per antonomasia, ma poi tutto parve calmarsi e la quiete tornò poco a poco ad ovattare la casa.

Decise che pur senza un motivo avrebbe dovuto alzarsi da lì, affrontare la realtà che dietro al silenzio covava nascosta in chissà quale anfratto, ma non seppe dove appoggiare il suo libro rimasto sulle sue gambe, così ne osservò la copertina, lesse il titolo e l’autore riconoscendo di non averne mai avuto notizia, e rimase a scorrere la nota stampata sul retro come la descrizione di qualcosa di cui non aveva mai sentito parlare. In fondo pensò che la realtà poteva pur aspettare ancora un momento, che importava quell’affannarsi dietro ad idee che probabilmente avrebbero lasciato tutto com’era, tanto valeva restarsene lì, attendere che qualcosa di serio risvegliasse la sua coscienza assopita; per il resto quella poltrona restava pur sempre un posto di gran privilegio, il punto migliore dove riflettere bene, il luogo più adatto dove disinteressarsi di tutto.

Bruno magnolfi

Una coscienza di civiltàultima modifica: 2010-04-25T12:15:19+02:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo