Dietro le spalle

C’erano giorni o momenti in cui ci pareva che l’arte, la cultura, e in modo speciale i manufatti del passato che si potevano ammirare lungo le strade del centro, quelle facciate dei palazzi o quei particolari degli archi e delle porte, ci rivelassero i loro segreti, il loro linguaggio particolare, la chiave di lettura manifesta ma incastonata dentro ad una modanatura o magari in un particolare ignorato da tutti e apparentemente disancorato dal resto. Eravamo curiosi di tutto, io e quel mio amico, questo era l’elemento portante, e la realtà ci sembrava svelabile, bastava volerlo, secondo noi due, era sufficiente osservare ogni particolare dal giusto punto di vista. Si camminava lentamente per qualsiasi strada decodificando ogni cosa, cercando un senso da intuire in ogni elemento, e si trovavano da tutte le parti linguaggi, spunti, elementi di riflessione. Ci si intrufolava in ogni posto possibile, pur di riuscire a scoprire qualcosa che non fosse sotto agli occhi di tutti, convinti che una parte di verità era nascosta, ma a portata di mano, bastava voltare quell’angolo dimenticato e tutto sarebbe stato evidente. Pezzenti come eravamo si continuava ogni sera ad andare nel locale da Gilli o alle Giubbe Rosse, eleganti e raffinatissimi, a farsi servire un caffè in piedi dove in fondo costava quanto in qualsiasi altro bar, solo per rimanere a lungo là dentro, attratti dalla forma del banco, dagli arredi del bar, le livree dei camerieri, dai mille elementi che trovavamo importanti e neanche scontati là dentro, degni di discussione e di interessamento. La gente elegante che trovavamo in questi locali non ci dava fastidio, erano tutti differenti da noi, ci ignoravamo reciprocamente. Quando in quel periodo furono aperti alcuni antichi palazzi, gli anditi, le corti, i giardini sui retro, normalmente chiusi alle visite, a margine di una iniziativa culturale da parte dell’Amministrazione Comunale, ci parve che quegli eventi fossero stati pensati apposta per noi, a noi che ci bastava essere consci di avere la testa e dei pensieri all’interno, sopra ai nostri jeans scoloriti, e il resto era un libro con le pagine aperte, pronto per essere letto. Si girò per dei giorni cercando segnali che in ogni luogo riuscivamo a scoprire e che ci riempivano il tempo appagando la nostra curiosità. Non era la storia dell’arte vera e propria che ci interessava, quanto comprendere i linguaggi usati per costruire gli oggetti, la maniera in cui erano state pensate le cose, quel parlare a tutti centinaia di anni prima conservando un messaggio che si rivelava immutato nello spazio dei secoli. Ci intrufolammo alla presentazione di un’antologica di Primo Conti, nelle sale di Pitti, in un pomeriggio in cui erano presenti solo addetti ai lavori su invito, e gli arrivammo vicini, proprio a lui, solo per il gusto di guardare un’artista in mezzo ai suoi quadri ammirati da tutti, tra personaggi illustrissimi, e ci formammo un’idea precisa di lui e delle sue opere. Discutemmo senza mezze parole davanti a certe tele più ardite, e ci sembrava quello il frutto migliore che poteva sperare un pittore, piuttosto che la deferenza dei giornalisti e l’ossequio dei piccoli politici e degli amministratori di turno. Parlammo a lungo e a voce alta di tutto tra noi, bevemmo a sbafo champagne coi pasticcini in quella festa di inaugurazione, lasciandoci tollerare, e dell’artista ne scrutammo tutti i risvolti che riuscivamo a carpire, forse confusi per quello sfarzo, ma non intimiditi. E fu solo sul tardi, uscendo da quelle sale meravigliose, leggermente perplessi, dietro a lui che se ne andava a sua volta accompagnato ancora da sorrisi e parole di elogio, quando lo scoprimmo a guidare una vecchia BMW demodé, neppure un modello particolarmente brillante, che questo ci rese l’artista più umano, forse più vicino, un vecchio al volante di un’auto senza sfarzi e forse per questo meravigliosa per noi, e questa rivelazione ce lo rese più vicino e simpatico.

Bruno Magnolfi

Dietro le spalleultima modifica: 2010-02-17T19:38:15+01:00da magnonove
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