Il muratore

La sera, quando il lavoro al cantiere terminava, tornava a casa a piedi, quasi sempre. Non gli importava troppo d’avere indosso quei pantaloni cachi tutti sporchi di calce e di cemento, e neppure delle sue scarpe grosse, consunte e senza più colore. Si rimetteva il giubbetto lasciato tutto il giorno appeso ad un asse polveroso, e costeggiava, lungo il marciapiede, tutta la strada che portava fino a casa sua. Era già tanto tempo che la sua impresa edile aveva iniziato quel lavoro, più di un anno, forse, e qualcuno diceva che non c’erano neanche tutti i permessi per edificare quelle case popolari. Ma il cantiere andava avanti, e lui si trovava bene, anche se a volte gli pareva strano che il geometra si facesse vedere così raramente. A volte si fermava in un bar lungo la strada, ma non si tratteneva troppo: gli piaceva arrivare presto a casa, stare lì con sua moglie che sfaccendava, lavarsi e cambiare gli abiti con calma, parlare un po’ con suo figlio, che si faceva grande ogni giorno di più. C’era un giardino che costeggiava il muro della vecchia cartiera, e tornando a casa il muratore ci passava proprio accanto. Una donna anziana, forse una vedova, tutti i giorni si faceva trovare lì, con il suo sguardo nel vuoto e il suo starsene seduta compostamente su di una panchina di legno quasi a fianco del marciapiede. Guardava la strada, il traffico, i passanti, ma senza interesse, come se soltanto quella fosse l’ultima attività di cui le importasse, ma solo un minimo. Il muratore le passava vicino, e avrebbe voluto salutarla qualche volta, ma la donna pareva non guardarlo, come se l’unico interesse fossero rimasti i suoi pensieri. Probabilmente abitava in una delle case basse che fiancheggiavano il giardino, ma lui non l’aveva mai vista da altre parti, se non su quella panchina, seduta immobile, con un’espressione indecifrabile. Al cantiere la vita era monotona: c’era Beppe, con cui andava d’accordo, e poi gli idraulici e gli elettricisti, tutti ragazzi giovani, che portavano le radio e i mangianastri, e tutto il giorno se lo passavano con la musica sforzata nelle orecchie. Tra i manovali c’erano gli albanesi, che erano tutti brava gente, ma facevano razza a se, e rimanevano in disparte, sempre tra loro. Lui portava avanti il suo lavoro, e gli faceva piacere vedere che poco a poco tutto tornava, come da disegno. Spesso non era tutto chiaro, e certe volte c’erano da prendere delle decisioni. Inutile telefonare al geometra, quello non c’era mai; così, come muratore esperto, lui dava la sua opinione ed il lavoro procedeva. Poi, a sera, quella passeggiata fino a casa gli stendeva i nervi, e tutto riprendeva la sua normale tranquillità, anche se sul lavoro si era sentito agitato. Al sabato il cantiere rimaneva chiuso, e il muratore si alzava presto come ogni giorno per aiutare la moglie a sistemare la casa, o per portarle le borse della spesa accompagnandola al supermercato. Qualche volta a fine mattinata arrivava a piedi fino al bar, a prendersi un caffè e fare due parole con qualcuno. Passando, una volta, aveva visto la donna anziana d’ogni giorno che entrava in un portone nei pressi del giardino, con indosso la mantellina di lana ed il suo passo lento, quasi senza scopo, proprio come il suo sguardo. Aveva sorriso tra sé, il muratore, quasi contento di aver scoperto qualcosa in più di quella donna, poi si era impensierito immaginandosi quella vita solitaria, silenziosa, tra quattro mura tristi, senza colore. A sua moglie piaceva sentirlo parlare della vita là in cantiere, così il muratore a volte raccontava di ciò che era successo durante il giorno, di qualche scherzo che si erano fatti gli idraulici e cose del genere. C’era stata quella volta poi, quando al vetraio, al piano sotto a quello che lui stava intonacando, si era spezzata una lastra di vetro mentre cercava di montarla su un infisso. Si era rotta di netto, proprio a metà, e la parte superiore, caduta giù come una ghigliottina impazzita, gli era piombata di taglio sugli avambracci. Erano corsi tutti tra gli urli del vetraio, e qualcuno aveva subito strizzato i bracci con del filo elettrico. Uno dei ragazzi se lo era messo in macchina sanguinante in quel modo, e ce l’aveva fatta, al pronto soccorso lo avevano subito medicato e con una trasfusione si era ripristinato il sangue perso. Sul cantiere erano rimaste solo quelle chiazze porpora nella polvere, e la voglia di cancellare presto quel brutto incidente. Fu di mattina presto però, quando assieme ad un gruppo di carabinieri arrivarono un mucchio di persone incravattate. C’era il geometra, quel giorno, e anche un ingegnere che dicevano fosse il direttore dei lavori. Ci furono discussioni, e tutti i muratori, gli elettricisti e gli altri si ritirarono da una parte, con i giubbetti indosso, senza saper bene cosa fare. Gli albanesi erano rimasti fuori e stavano in silenzio, apparentemente disinteressati. Poi dissero a tutti di uscire dal recinto del cantiere, e dopo altre discussioni venne chiuso con un grosso spago il cancellone di legno che il carpentiere aveva costruito tanto tempo prima, usando assi di recupero. Sapevano tutti cosa significava quel comportamento, e quando il geometra passò vicino al muratore non disse niente, salì sulla sua macchina e andò via, assieme a tutti gli altri. Gli operai del cantiere si dispersero, e il muratore tornò a casa malinconico. La segretaria dell’impresa edile gli disse per telefono che in pochi giorni tutto si sarebbe risolto ed il lavoro sarebbe ripreso, ma sul momento dovevano tutti aver pazienza ed aspettare che le autorità prendessero qualche decisione. Il muratore qualche mattina accompagnò sua moglie a fare spese, poi iniziò a chiedere in giro se c’era del lavoro che potesse fare. Gli dispiaceva molto quella forzata inattività, ma non voleva seriamente iniziare un altro lavoro avanti di sapere qualche notizia certa sul cantiere. L’ozio del pomeriggio era la parte di giornata più pesante: tornava a casa suo figlio dalla scuola, e pareva guardarlo con perplessità, quasi con rimprovero, per quel farsi trovare lì, senza far niente. Usciva, il muratore, a volte si fermava al bar a chiacchierare con qualcuno. Ma era più per riempire un vuoto che per un interesse vero verso quelle cose sciocche. Tra le cinque e le sei rifaceva la strada di sempre per tornarsene a casa, e rivedeva lì, sulla panchina, quell’anziana donna immobile che non aveva cambiato niente, né nel suo sguardo, né nel suo atteggiamento. Poi un giorno non c’era. E neppure il giorno seguente. Il muratore era passato di lì più di una volta durante il pomeriggio del terzo giorno, e ancora niente. Aveva dato un’occhiata da lontano al portone della donna, e lo aveva visto chiuso, senza nulla di particolare che richiamasse l’attenzione. Allora si era avvicinato, quasi furtivamente, ma con le mani in tasca, quasi con indifferenza, e si era accostato all’entrata della casa di tre piani, proprio nel momento che un condomino aveva aperto, uscendo. Il muratore, conservando un’espressione seria, aveva solo allungato una mano, come a chiedere il permesso per entrare, e l’altro gli aveva lasciato il portone aperto, senza chiedergli niente. Lui era entrato allora con decisione nel piccolo andito, richiudendo l’uscio alle sue spalle, poi era salito su per le due rampe di scale fino al primo piano. C’erano due porte che si aprivano sul pianerottolo, e una delle due, come usavano fare le persone della generazione passata, era lasciata accostata. Il muratore spinse, e in un attimo si ritrovò nel piccolo ingresso buio, cosparso di un vago odore di minestra riscaldata sul fornello. Si fece ancora avanti, nel massimo silenzio, e dalla soglia che immetteva nella cucina vide la donna, seduta con un braccio sopra al tavolo di formica, e il viso rivolto dalla parte opposta, verso la finestra. In un attimo il muratore pensò di strangolarla, oppure di prendere velocemente un coltello dal cassetto e di tagliarle la gola, senza permetterle di lasciar uscire dalla bocca la più piccola parola. Ma si trattenne rimanendo immobile. Quando la donna avvertì la sua presenza, si volse con lentezza, e con una voce senza corpo, disse solamente: “che cosa vuole, qui? Se ne vada, non c’è niente da vedere”. Al muratore passarono in testa mille risposte, ma rimase in silenzio, ferito da quel modo che pur si era già immaginato entrando. Poi, con calma, si volse per andarsene. Ma all’ultimo momento, quando era già nell’ingresso, si fermò un attimo, e con la voce bassa, quasi come parlando con se stesso, semplicemente disse: “…niente, volevo soltanto salutarla”, e rapidamente uscì da quella casa.

Bruno Magnolfi

Il muratoreultima modifica: 2009-12-02T21:11:47+01:00da magnonove
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