Il cane da guardia

Avevo sempre avuto paura di quel cane da guardia del nostro vicino di casa. Avevo dieci anni, e ogni volta che tornavo da scuola lo trovavo lì ad osservarmi, con quel muso cattivo, senza neppure una volta che mi guardasse in modo diretto, ma come mal tollerando la mia presenza vicino a quella parte di recinzione del suo giardino, limitandosi a controllarmi a distanza ravvicinata, pronto ad attaccare qualsiasi mio movimento sgradito. Mio padre ripeteva spesso di starne alla larga, di andare a giocare nelle zone del nostro giardino lontane da quella rete di divisione, e a volte aveva avuto parole di sprezzo anche per il proprietario del cane, un tipo silenzioso, con la testa rasata e gli occhiali scuri a coprirne la faccia, una faccia perennemente immobile, come priva di capacità di espressione. Tra quell’uomo e quel cane persisteva come una simbiosi perfetta: il cane lo aspettava al cancello, negli orari in cui il suo proprietario rincasava, si agitava al suo arrivo, poi l’uomo gli diceva qualcosa e il cane si piazzava immediatamente seduto, pronto di nuovo a fare la guardia, a dedicarsi al suo compito. Studiai di nascosto, dietro ai cespugli del nostro giardino, il sistema che usava “il pelato”, così come avevo appellato quell’uomo, per farsi ubbidire dal cane. Scoprii che bisbigliava parole precise e straniere in modo secco e deciso: “sitz!” e quello si metteva seduto; “platz!” e stava sdraiato come un meccanismo perfetto. Un giorno che il cane era da solo e venne verso di me come a vedere che cosa facessi vicino alla sua recinzione, io dissi secco: “sitz!”, e lui, con una titubanza leggera, si mise seduto. Mi allontanai, per tornare dopo pochi minuti verso quel cane che era rimasto nei pressi, e così, con ancora maggior convinzione, ripetei quel comando: il cane obbediva, ero riuscito a scoprire il suo punto debole. Naturalmente non dissi niente a nessuno di quei miei progressi, ma quasi ogni giorno mi esercitavo a controllare il potere che avevo raggiunto, e un pomeriggio che il cane era arrivato proprio vicino alla recinzione tra i nostri giardini ed io come al solito gli avevo comandato di stare seduto, allungai la mia mano da un foro per accarezzargli un orecchio. Mostrò un certo piacere di quel nostro contatto, e mi dette una leccata alla mano in segno di amicizia approvata, tanto che le cose tra noi mutarono in maniera completa. Io continuavo naturalmente a tenere segreto a mio padre e al pelato quel rapporto col cane, e quando andavo alla recinzione per fargli qualche carezza sul muso, stavo sempre ben attento che nessuno si accorgesse di quel nostro rapporto, e le cose andarono avanti così per dei mesi. Poi, un pomeriggio, io e mio padre stavamo camminando lungo la strada, e ci trovammo a passare davanti al cancello della proprietà del pelato nel momento esatto in cui l’uomo, parcheggiata la macchina di fronte alla casa, stava rientrando: il cane uscì per un attimo da quel suo cancello nel momento esatto in cui il suo proprietario lo aveva socchiuso per riuscire ad entrare, poi mi vide, e come proseguendo il suo moto, venne diretto verso di me: “sitz!” dissi veloce, e il cane, quasi con un gesto di orgoglio, si piazzò immediatamente seduto, lasciando mio padre e il pelato assolutamente di stucco.

Bruno Magnolfi

Il cane da guardiaultima modifica: 2009-09-13T19:43:40+02:00da magnonove
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2 pensieri su “Il cane da guardia

  1. Si cresce andando oltre i divieti dei grandi, superando le proprie paure. Il cane del vicino rappresenterà per il piccolo protagonista del raconto, il suo rito d’iniziazione, il suo percorso di crescita, oltre l’infanzia verso l’adolescenza.

  2. Decisamente l’immagine più significativa del racconto, è quel momento ardito, e allo stesso tempo coraggioso dove il piccolo protagonista, oserà tendere la mano verso il cane, oltre la siepe, al confine tra i due giardini; egli quando lo farà, saprà perfettamete di aver dominato tutte le sue paure!

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