Rosi e nient’altro

img009_edited.jpg

Rosi e nient’altro

            Avevamo trascorso un lungo periodo cercando lo scopo e le soluzioni da definire. La direzione strategica poi mi aveva assegnato a quella città del Nord, e di quei compagni iniziali con i quali avevo trascorso i primi tempi di clandestinità non avevo avuto più alcuna notizia.

            Eravamo tre adesso, e ci si era conosciuti nello snodo della metropolitana, un posto pieno di gente nella fascia oraria che avevamo pattuito. Si era finto di osservare con interesse una vetrina, guardandoci a lungo senza farci notare. Io ero l’unica donna. Abitavamo tre appartamenti differenti, e si era scelto di vedersi solo una volta a settimana, in luoghi e giorni sempre differenti. Quando iniziammo a spiare le mosse e le abitudini dell’obiettivo designato, ci vedemmo più spesso. In pubblico non parlavamo mai tra noi: ci scambiavamo furtivamente dei foglietti con su scritte le idee e le piccole personali decisioni. Tutto il resto ci arrivava nella cassetta per la posta con una scrittura in codice.

            Dei miei compagni conoscevo solo i nomi di battaglia: Frenchi e Lesli. Per me avevo scelto Rosi. In tutto quel periodo di solitudine forzata avevo iniziato a ripensare a tante cose: mi era preso anche il desiderio struggente di telefonare alla mia mamma, poi l’avevo cancellato. Spesso mi divertivo a ricordare i miei capricci da bambina. Non c’era mai un vero e proprio motivo per intestardirsi su qualcosa che desideravo per me o che volevo gli altri facessero. Era una prova a cui sottoponevo chi mi era vicino per misurare i loro sentimenti. Superata quella mi sentivo dolce e affettuosa con tutti. Forse non ero cambiata molto crescendo.

            Il mio programma di lavoro prevedeva l’uscita da casa, ogni mattina, alle ore sette e dieci. Qualche volta, sopra al pianerottolo del palazzo, incontravo un uomo che abitava l’appartamento accanto al mio. In genere cercavo di evitarlo anche se non sempre era possibile. Sua moglie dava l’idea della persona che origlia alla porta per riuscire a sapere i fatti degli altri. Non potevo rischiare niente, neanche che mi rivolgessero qualche domanda sottile, magari sorridendo. Così normalmente mostravo fretta, limitandomi ad un semplice e generico “buongiorno”. Il personaggio cui mi ispiravo era quello di una segretaria impiegata in una direzione assicurativa. Ma per tutto quel periodo nessuno chiese niente. 

            Quasi ogni giorno cambiavo occhiali e parrucche seguendo i percorsi del mio obiettivo. Mi sedevo sopra una panchina, dentro a qualche bar, nella mia stessa auto, e mi annotavo gli orari dei passaggi, descrivendo tutti i particolari che osservavo. Non era troppo difficile far trascorrere l’intera mattinata mentre studiavo, con modo di fare disinvolto e insospettabile, tutte le possibili traiettorie seguite dal mio uomo. Al pomeriggio tornavo a casa presto, in genere verso le cinque, e sopra le piantine dettagliate delle strade cittadine ripercorrevo con matite colorate ogni tragitto. Tutte le informazioni che ogni volta riuscivo a completare le passavo ai miei compagni tramite i soliti foglietti.

            Gli avvistamenti del pomeriggio e della sera erano un compito di Lesli. Una sera andammo assieme nel quartiere residenziale interessato. Si fece un giro a piedi fingendo una passeggiata di piacere. In realtà tenevamo sottProva 021.jpgo osservazione tutto quanto. Non parlammo molto, giusto le cose essenziali. Poi Lesli decise di entrare in un bar. Il nostro uomo era rientrato in casa e non avevamo praticamente altro da fare. “Sei carina”, disse semplicemente, quando fummo seduti al tavolino. “Non avrei creduto di trovare dei tipi come te nell’organizzazione”. “Perché”, risposi, “cosa ci trovi di tanto strano?”. “Forse niente”, disse, “però immaginavo un mondo di duri che non si preoccupa del trucco o del rossetto, tutto qua…”. Guardai Lesli negli occhi e mi accorsi che era convinto di quello che diceva, così lasciai cadere l’argomento. “Ti sei visto con Frenchi?”, chiesi. Prese tempo, guardò qualcosa oltre le mie spalle, poi disse: “certo; qualche volta sono andato assieme a lui ad osservare i movimenti dei conoscenti del bersaglio”. Poi pensò qualcos’altro che voleva dirmi, ma rimase in silenzio, forse per evitare di parlare di sé. Bevve alcuni sorsi della sua birra, poi riprese: “perché sei qua?”. Avevo voglia di parlare di mille cose, ma non con lui, così risposi con uno stupido sorriso: “e tu?”, dissi, “pensi di cambiare città una volta colpito l’obiettivo?”. “Certo”, disse, “questa è soltanto una prova; sarà soltanto dopo che faremo veramente sul serio”. Ci alzammo lasciando i soldi delle bevute sopra al tavolo, e un quarto d’ora più tardi ci salutammo senza enfasi.

La solitudine pesava, ma avevo come l’impressione di abituarmi velocemente a starmene da sola, con i miei pensieri, i miei segreti. Quando rientravo nel mio appartamento evitavo l’ascensore, nonostante i quattro piani di scale. Una precauzione in più: evitare contatti con il vicinato, oltre al fatto di salire con calma per accorgermi se per caso i poliziotti mi stessero aspettando sopra al pianerottolo. Per il resto, mi sentivo felice, una volta in casa. Mi guardavo allo specchio e pensavo: “sarà migliore il futuro; dovranno rendersi conto che ci siamo sacrificati per il bene di tutti. Dobbiamo solo superare questi dettagli; alcuni particolari per scuotere le coscienze. Ma di fronte alla storia sarà un’inezia…”. Poi pensavo alla mamma. Spesso mi perdevo a fantasticare sopra le giornate trascorse a scuola, negli anni del liceo. Le battaglie contro il potere dei professori, contro l’usurpazione dei diritti dei poveri studenti. Mi faceva ridere rivedermi alle assemblee, a sostenere il mio pensiero.

Al pomeriggio spesso uscivo a fare delle compere. Non andavo mai due volte in uno stesso negozio o in un supermercato, per cui in certi casi dovevo fare numerosi giri prima di trovare quello che cercavo. Avevo a disposizione una grossa disponibilità di soldi che l’organizzazione mi aveva fornito, così non avevo problemi di quel genere. Mi divertivo a cucinare, pur non essendo molto brava, così variavo il più possibile la mia alimentazione. In casa avevo quattro pistole di forme e calibri diversi. Ne avevo sistemata una in ogni stanza, in angoli riparati e strategici, esclusa la più piccola che necessariamente portavo sempre con me. Dopo cena a volte le pulivo e le tenevo in ordine, sempre ben cariche. Quando ero stata nel campo paramilitare di addestramento avevo acquisito tutte le informazioni e la pratica che serviva.

Una delle attività importanti della mia giornata era data dalla lettura dei quotidiani. Considerata l’importanza politica dell’obiettivo cui era destinata la mia militanza di quel periodo nell’organizzazione, seguivo, tramite le informazioni e i commenti dei giornalisti, tutto ciò che in qualche modo riguardasse la sua figura. Vista la quantità di giornali che così mi vedevo costretta ad acquistare, per non destare alcun sospetto, ero quasi costretta a girare con delle grandi borse in cui infilavo giornali e riviste comperate in edicole diverse. Nel mio appartamento continuavo ad accumulare sopra uno scaffale, tutti i ritagli che risultavano importanti.

Una sera ci ritrovammo tutti nell’appartamento di Frenchi. Era la prima volta che vi mettevo piede e mi meravigliai di come fosse piccolo e scomodo. Ci sedemmo in cucina e dopo pochi minuti arrivò anche Lesli assieme ad un altro compagno dell’organizzazione che non avevo mai visto prima. Parlammo a lungo di tutte le informazioni che si era riusciti a mettere assieme, poi si decise di agire di martedì, la terza settimana a partire da quel giorno, all’ora in cui il nostro obiettivo usciva da casa. Per i dettagli e il resto ci saremmo riuniti un’altra volta, da decidere. Lesli e l’altro, quasi di fretta, si alzarono e uscirono, senza aggiungere nient’altro, io decisi di rimanere ancora un po’.

Frenchi era decisamente un bel ragazzo. Probabilmente era più giovane di me, ma era uso nell’organizzazione non farsi mai domande personali. “Penso di non poter essere altro che contenta se questa faccenda riusciamo a risolverla in fretta”, dissi. “Quest’attesa ha iniziato a snervarmi già da parecchi giorni, e non riesco più ad individuare variabili degne di nota nelle mie osservazioni”. Lui continuava ad osservare le mie piantine del quartiere, quelle disegnate con i vari percorsi. Poi sollevò gli occhi. “Credo che dovremo preparare un colpo per autofinanziarci”, disse. “Ne parlo intanto a te, ma poi lo proporrò anche all’organizzazione. Ho individuato una piccola filiale che gestisce gli stipendi di una grossa azienda. Ci vorrebbero sei o sette persone al momento che il portavalori scarica i soldi. Potrebbe essere un gioco da ragazzi”.

Frenchi mi pareva completamente sincero nei suoi comportamenti. Si era dedicato agli scopi dell’organizzazione, e questo gli bastava. Pensai che in lui ci fosse come un rifiuto nell’affrontare argomenti che investissero altre cose. Per cui decisi che non avrei fatto commenti. “Sarà meglio che ora vada”, dissi con semplicità. “Aspetta”, ribatté, “immagino che dovremo metterci d’accordo su qualcosa”. “Che cosa, per esempio?”, dissi mentre mi alzavo dalla sedia. Lui ripiegava con cura le mie piantine, poi disse: “penso che saremo io e te ad andare all’appuntamento con il nostro uomo”. “Cosa te lo fa pensare?”. “Niente, solo che siamo i più determinati”. Riflettei a lungo su quello che dovevo dire, poi mentre infilavo il soprabito grigio, cercai di stanarlo sui suoi stessi pensieri. “Hai paura ad andare solo?”, dissi senza guardarlo. Lui non rispose, solo ribadì il concetto: “vedrai, toccherà a noi due…”.

La strada per tornare al mio appartamento mi parve lunga quella sera. Era come se trovassi molte più convinzioni standomene da sola a portare avanti le mie attività, piuttosto che incontrarmi con gli altri dell’organizzazione. Quando mi misi a letto stentai a prendere sonno. Avevo voglia di portare in fondo quel lavoro di preparazione che avevamo intessuto durante tutto quel periodo. Volevo leggere i giornali il giorno dopo; vedere le prime pagine che riportavano la sigla dell’organizzazione, che riferivano dell’esattezza, della meticolosità della nostra operazione. Tornò mia mamma con la sua voce di sempre a dirmi qualche cosa. Poi mi addormentai.

Due settimane dopo fu deciso che a piedi, sopra al marciapiede, sarei andata incontr11012009006.jpgo al nostro uomo con calma, camminando lentamente. Avrei tenuto una mano nella borsa, con dentro la pistola ed il dito pronto sul grilletto. A distanza di tre metri avrei sparato due colpi, il secondo di sicurezza. Avrei mirato basso, tra le cosce e le ginocchia, nello stesso momento che Frenchi, con una grossa moto, si sarebbe fermato accanto a me, giusto il tempo per tirarmi su e schizzare via velocemente. Io avrei avuto una parrucca, occhiali da vista con la montatura nera e un trucco vistoso per camuffare i lineamenti. Frenchi avrebbe indossato un casco integrale. Lesli, un’ora dopo, avrebbe lasciato un volantino con la rivendicazione dell’attentato nella cassetta per la posta di una piccola sede sindacale. Poi, per una settimana, avremo continuato la vita d’ogni giorno.

Fu la domenica precedente che qualcosa dentro me parve prendere una piega inaspettata. Avevo tutta la giornata da dedicare alla lettura dei giornali e al ripasso generale dei gesti e dei percorsi. Un giorno da trascorrere in casa, conservando la calma dei gesti quotidiani, nella rilassatezza delle convinzioni. Invece uscii, senza motivo, giusto per un giro senza meta. Avevo indossato un tailleur chiaro, un foulard al collo ed un soprabito semplice, senza alcun eccesso. Avevo camminato con calma lungo alcuni marciapiedi cercando di non pensare a niente. Poi ero stata attratta da una cabina del telefono. Ero entrata, ancora quasi senza motivo. Avevo composto il numero in fretta, dopo avere inserito la tessera magnetica. “Pronto…”, aveva detto la voce serena e compassata di mia madre. Io avevo atteso qualche secondo, poi, proprio mentre stavo per riattaccare la cornetta: “…sei tu Silvia… come stai?”, ed io avevo interrotto la comunicazione.

Il martedì alle cinque di mattina ero già in piedi. Feci la doccia, preparai tutto con calma e attenzione. Quando uscii di casa erano le sette. Velocemente arrivai nei pressi del luogo pattuito. La strada era deserta. Lentamente fiancheggiai i palazzi residenziali costeggiati da siepi ben curate. Poi, davanti a me, vidi il mio uomo. Non mi guardò, come invece avevo immaginato; mi venne incontro con indifferenza, senza alcuna variazione rispetto ad ogni mattina del mese trascorso. Quando ci incontrammo io non mi fermai, continuai a camminare senza alcun gesto, senza far nulla. Sentii la moto di Frenchi che frenava alla mia destra. Mi volsi e andai verso di lui. Frenchi non disse niente, tirò su la visiera del suo casco e mi guardò, quasi con un’espressione rassegnata. Lo abbracciai mentre la moto prendeva velocità, e velocemente ci allontanammo dalla zona. Piansi, quando la tensione mi abbandonò, ma non seppi spiegarmene il motivo.

            Bruno Magnolfi                                                                    

Rosi e nient’altroultima modifica: 2009-04-08T22:40:00+02:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo

19 pensieri su “Rosi e nient’altro

  1. Rosi e nient’alto “vive”” in una città qualsiasi,in un tempo qualsiasi una vita qualiasi,(scelta dall’organizzazione),che decide e cerca per lei,(tempi , scopi ,e soluzioni al suo vivere ) protetta dunque da un utero maligno “,adagiata ormai nella negazione della sua esistenza , non prova alcun desiderio (riaffiora il tema caro all’autore ) Rosi , trova il coraggio di esistere accettando il dolore di vivere !Infondo al racconto si ha voglia di scivere : Ben venuta Rosi!!!

  2. non è facile accettare il dolore che ci procurano i sentimenti…avvolte il ricordo di una carezza può far male più della dolcezza ricevuta con essa.Il dono della nascita è tutto qui,espresso in questo racconto, Rosi,ha paura di vivere,(non riesce a parlare con sua madre ,perche deve ammettere di provare sentimenti, che si nega,( del resto , ammettere l’esistenza di sua madre è ammettere di essere nata ). Rosi non esiste,quindi non soffre(é solo una marionetta dell’orgaizzazione ,(è nutrita e protetta da un utero maligno)decidono per lei, le trovano soluzioni al suo non vivere , (non è facile non identificarsi in Rosi ,lo siamo un pò tutti noi quando ci lasciamo vivere) !Rosi sceglie finalmente di esistere quindi di vivere(le sue lacrime , rappresentano la sua nascita )accettando il dolore che procura la scielta di vivere .Forza Rosi!!!!

  3. Non concordo con i precedenti commenti(per altro molto in sintonia!)trovo che il personaggio di Rosi sia disincantato,forte.lei è fuori da tutti gli schemi, e dalle convenzioni del vivere sociale ,non è accomodante con se stessa e neanche con il suo prossimo .I suoi travestimenti ,che rappresentano perfettamente le nostre maschere quotidiane( incui di solito ci rifugiamo ) non sono che una rappresentazione , uno scimmiottare una vita che non gli appartiene !Rosi ha già scielto la sua vita tempo fà..in nome di una giusta causa..di un ideale e se nè infischia del vivere convenzionale ,tutti inquadrati ognuno nel propio ruolo,come pedine di un gioco a cui non si sente d’appartenere , le comparse e i personaggi che a seconda delle circostanze l’affiancano…non la sfiorano , Rosi sà che può contare solo su se stessa ,ed è dolce che avvolte le lacrime la sfiorino.

  4. La descrizione dei luoghi è appena tratteggiata,ma rende perfettamente l’atmosfera incui è calato il personaggio,luoghi affollati ma in realtà inpersonali come una metropolitana di una grande citta del nord,cabine telefoniche,strade,e appartamenti impersonali ,facce senza volto.La protagonista non riuscirà ad identificarsi nel personaggio di Rosi..perchè come ognuno di noi dovrà fare i conti con quella parte di se celata e nascosta dentro che affiorerà al momento opportuno.Rosi ” fuori ma Silvia dentro.

  5. Si,caro Diego ma chi delle due è veramente?(uno nessuno e centomila…chi può dire chi noi siamo veramente)Non vgliamo scomodare Pirandello,ma in effetti,chi può dire cosa siamo esattamente e cosa vogliamo veramente…Certo lo scrittore ha tratteggiato con bravura l’inrequietezza del personaggio. Rosi è sicura di sè ,determinata..controllata ,non tralascia nessun particolar..eppure viene assalita dai ricordi..dai sensi di colpa è un racconto che in parte inneggia al viva la mamma e ai sensi di colpa che ci ha fatto bere mescolati al suo latte…è un racconto che ci fà riflettere…io sono con Rosi e le altre 998mila,insomma con tutte le altre tranne che con Silvia,abbasso le mamme e i sensi di colpa, che non ci aiutano a volare!!!!

  6. Credo che Rosy sia un esempio di ricerca di equilibrio tra dentro e fuori. Tutti hanno una mamma, tutti hanno un nemico. Siamo convinti di qualcosa a volte, a patto che un’incrinatura pur sottile non arrivi ad instillarci il dubbio. In quell’incrinatura passa il respiro del mondo.

  7. Come in parte già scritto da Ketty, ribadisco che la storia di Rosi è la descrizione di un tentativo di crescita(o nascita) non ricercata attraverso l’equilibrio di un bilancino ,(certo le incrinature fanno da pesi …sig Magnonove) ma la protagonista ricerca lo squilibrio ..è lo squilibrio che ci fà andare oltre che ci fà ricercare soluzioni,che a loro volta ci spingeranno sempre oltre, verso altre situazioni”fuori equilibrio”…Rosi alla fine della storia non sarà nè l’una e nè l’altra ,(nessuno di noi sarà mai in equilibrio ),Rosi ha cercato il suo squilibrio..e Frenchi ha provato ad aiutarla in questo…ma Rosi tornerà indietro (ascolterà la bimba Silvia “in equilibrio nell’utero materno”) che ha paura del cambamento,dello squilibrio) lo svezzamento è stato uno delle prime fasi della vita che ognuno di noi ha dovuto superare(si fà per dire qualcuno è ancora fermo lì) e ci ha messo parecchio, fuori equilibrio ….crescere è squilibrio..(solo la morte “livella”ci mette in equilibrio,asseriva qualcuno) Silvia non riuscirà ad essere Rosi ,forse non sarà più nessuna delle due(nè Rosi e nè Silvia)..e non sarà in equilibrio anzi , porterà con sè la frustrazione provata in quel momento, che servirà a darle piu forza la prossima volta, che riuscirà ad essere tutte le altre che vorrà , e abbracciando il “Frenchi “di turno quest’altra volta ,non piangerà !

  8. Avvolte le belle storie , ci lasciano senza parole, è il caso di questo racconto : Rosi, con le sue contraddizioni e nient’altro !!! Tenera storia

  9. Sig.Magnonove,per mestiere faccio il camionista,e per diletto leggo,un pò di tutto,e questo mi rende ricco,in tutti i sensi.Per carattere sono sempre stato un cane sciolto,niente schedature ,non ho una banca,e non faccio parte di nessuna ass.ne..non mi và quindi d’iscrivermi in nessun blog,sito..ecc e però un commento voglio proprio lasciarglielo sig.Magnonove su i suoi pensieri “spettinati” ,(spero che cortesemente voglia in seguito cancellare qualsiasi traccia di me) condivido i suoi pensieri e condivido tanto il suo sentirsi fuori..fuori dal ritmo del tempo, fuori dalla noia dell’essere e dell’apparire .E’ il frastuono delle città che c’ingombra le menti?E’ la paura di non avere sufficente visibilità,che ci impedisce di vedere i colori?non sò! E però peer quanto mi riguarda, non seguo più il tempo,in casa e fuori,sposto le lancette dei miei orologi ,a seconda dei miei umori..vivo a modo mio cosi,dilatando il tempo come voglio!E inquanto ai colori ,bè ho con me veline colorate,spago, colla,colori e sogni da inseguire e cosi non non inseguo alcun programma televisivo.Ho scelto di stare alla larga dai “felici “che tanto stonano con il mio arredamento interno.In questo momento la mia casa(esterna-interna) ha i lavori in corso perchè tutto è fuori posto,invidio le donne e gli uomini che spolverano i mobili e le suppellettili ripetendo per anni gesti consueti,tutto al proprio posto..ogni giorno.In questo momento sig.Magnolfi ho molti dubbi,ma di una cosa sono certo,meglio sentirsi un pò marziani di questi tempi!

  10. Commento ai pensieri:
    La libertà,l’ho vista strisciare tra le pieghe delle tue parole,scritte all’ombra del filo spinato di menti ottuse.
    ….”Ti toccherà scrinvere per tutta vita”…e scriverai di nuvole e di vento, di ricordi spezzati.. e non avrai rimpianti,nemmeno scrivendo di di lei e questo è coraggio. Fulvia

  11. Commento su pensieri di oggi:” il ragazzo”….se qualcuno ha detto che “partire è un po come morire?in questo caso viene sconfessato più che mai,perche in questo racconto,partire ha la valenza di scoperta,è andare oltre,è regalarsi alla vita,è un atto di coraggio e di conquista.Il periodo di “latenza “adolescenziale,trascosa a cercare conferme (nel fratello più grande) e nell’indolenza dell’attesa di qualcosa a cui non riesce nemmeno a dare un nome…s’interrompe bruscamente,nel momento incui il ragazzo scopre il fratello , (che tanto ammirava)vulnerabile, coinvolto in una storia clandestina ,che sembra conformarlo al paesaggio e a quel mondo sospeso nel tempo.Sceglie quiondi di andare oltre quei confini,di lasciarsi alle spalle i sogni e le illusioni (adolescenziali) e prova a prendere un treno che lo conduca a scoprire il mondo oltre”la siepe”.Concludo con un’altra citazione,che in questo caso rende a pieno il mio giudizio sul racconto:”Senza di te,l’emozioni di oggi,sarebbero la pelle morta delle emozioni passate”(Lupu Ulula’)Proprio come lei sig.M.che con i suoi racconti sà emozionare.

  12. Ogni mattina, esco di casa alle 07, prendo due bus,che collegano due periferie opposte alla città, per raggiungere il luogo dove lavoro e quindi osservo la gente dal finestrino che..sembra non aspettarsi niante, se non i soliti gesti rassicuranti di sempre .Ho preso tempo fà anch’io un treno come il protagonista della storia , e non sono più tornata laggiù e….sò già ,che un giorno di questi, riprenderò ancora un altro treno per andare altrove!…non voglio mica somigiare a qella gente che osservo tutti i giorni dal finestrino? Rosa.

  13. In fondo ci assomigliamo tutti, anche nell’aspirazione a prendere treni, a salire sui bus per guardare chi sta fuori dai finestrini e anche nel farci guardare da chi viaggia sui mezzi pubblici.

  14. comm a pesieri del 18 :l’angoscia del tempo che passa ci fà parlare del tempo che fà,ma il “pennarello”ci fà pensare alla delusione che si prova a setirsi uomini,quando si assiste impotenti alla sua disumanizzazione ,alle guerre che sono fuori e dentro di noi, a cui assistiamo ogni giorno indolenti..”nel breve raccoto del “pennarello”,il gesto del protagonista apparentemente può sembrare un gesto di ribellioneme,ma in realtà a me sembra un gesto di umana pietà,e forse nasconde una segreta speranza.

  15. Commento ai pensieri :”Il pennarello”Sono un insegnante di scula secondaria di secondo grado e spesso devo commentare con i miei alunni…notizie di cronaca avvilenti..fare coraggio ai miei ragazzi , e condurli quasi per mano a sperare in un futuro migliore e vi posso assicurare non è facile,ma ribadisco che bisogna ritrovare la forza interiore che è in ognuno di noi,ed è nel ritrovare la fiducia in noi stessi che avverrà il cambiamento ed è nel saper discernere,nel verificare ,nel dubutare e infine nello sciegliere,che torneremo a gurdarci negli occhi. 100 …1000 pennarelli!!!

  16. Commento ai commenti di Guido..personalmente mi schiero dalla parte ” di Babbo Natale”…di un Natale dimenticato,del Natale come emblema di semplicità ,fatto di piccoli gesti, di doni che non si comperano e nè si vendono ma si percepiscono,… di sentimenti celati e vissuti con pudore …e babbo Natale? B.N.rappresenta la tenacia,la poesia del saper attendere con pazienza e fiducia ,la docezza che si prova nell’ascoltare gli altri e magari noi stessi… è un momento di verifica :ci induce a fare i conti con la nostra coscienza e con la propria vita (ho fatto tutto il possibile per migliorare…e merito doni per questo?…e quali possono essere i doni che vorrei?..ritrovarsi dunque per ritrovare antichi gesti e forse antichi valori… ragazzi Babbo Natale esiste!

  17. Personalmente tengo per la befana. Primo perchè è donna e sensibile al punto da sapere lei cosa donare, senza bisogno che mettiamo di mezzo aspettative inadeguate. Secondo perchè è più lontana dalla morale cattolica tanto complice della DISUMANITA’ UMANA.

  18. Si ma Natale e la Befana puzzano già prima d’arrivare figurati quando se ne vanno…per fortuna arrivano solo un giorno l’anno !Ora però possiamo tornare al partito dei pennarelli?personalmente mi piace l’idea delle strade parlanti…. ?

  19. Le strade parlano da sole,basta guardarsi attorno… il pennarello dovrebbe solo sottolineare,marcare evidenziare ,quello che gia è sotto gli occhi di tutti…già ci riempiamo la bocca di inutili parole..figuriamoci ora se è il caso di far parlare le strade con inutili messaggi!

I commenti sono chiusi.