Strane affinità.

 

Trascorro quasi tutto il giorno sul sedile della mia auto ferma, guardando attentamente quello che riesco a tenere sotto osservazione fuori dai vetri laterali e dal parabrezza. Scorrono ogni giorno quasi le medesime immagini, avanti e indietro rispetto alla mia postazione, ed io continuo comunque a registrare tutto ciò di rilevante che riesco a notare, senza mai stancarmi, o almeno facendo finta di non essere mai stufo di tutto quello che porto avanti. Forse tra gli autisti di tutti i bus che si riversano da queste parti in attesa di riprendere a guidare, qualcuno ha persino imparato a riconoscermi o a riconoscere la mia auto; se mi facessi più vicino a loro magari inizierebbero anche a salutarmi, a dirmi qualcosa, ad accennare qualche battuta di spirito tanto per passare il tempo. Invece io sono fedele al mio lavoro ed al mio anonimato, perciò li osservo da lontano, mentre loro continuano a pulire i vetri e a lucidare le carrozzerie.

Poi mi giunge un messaggio: si dice che il guardiano notturno di questo stesso parcheggio, ultimamente non riesca più a mandare avanti il suo lavoro, e che per questo da domani stesso io dovrò prendere il suo posto. Mi piacerebbe proprio sapere con quali motivazioni sia riuscito il mio collega a divincolarsi da questo mestiere, ma l’unica volta in cui gli ho parlato ero talmente sorpreso delle sue lamentele che ho dimenticato persino di chiedergli il suo numero di telefono. Mi pare strano comunque che i nostri comuni datori di lavoro lo lascino andare via senza fargliela pagare amaramente: forse lui si è messo in un grosso guaio penso, ma non ho la maniera per sapere quali conseguenze ci potranno essere. Digito la mia risposta affermativa sul cellulare, poi riprendo appieno il mio servizio con l’osservazione del piazzale.

Giunge un uomo a piedi durante il pomeriggio, si accosta alla mia macchina, mi fa cenno con le mani che vuole parlarmi, così io abbasso il finestrino e lui si presenta con il proprio nome di battesimo, spiegando con modi misteriosi che lui è proprio il guardiano appena messo a riposo. Lo lascio entrare dentro la mia auto al posto del passeggero, gli chiedo che cosa sia venuto a fare lì, e lui mi spiega che lo stanno cercando, appena hanno saputo che voleva smettere di lavorare. Immagino in qualche modo di essere anche io in pericolo in questo momento, ma non lascio trapelare dal mio comportamento alcuna perplessità. Gli chiedo cosa sia successo e cosa intenda fare, ed il mio collega inizia a dire che quando è stato ingaggiato immaginava proprio che quel lavoro fosse stato differente. Adesso ne è stufo, e quindi ha detto basta.

Lo lascio parlare, come se avessi una posizione quasi privilegiata rispetto alla sua, e di me si nutrisse una fiducia ben maggiore, tanto da tenere un comportamento da fratello grande rispetto a lui. Non gli lascio capire che i suoi dubbi e la sua demoralizzazione sono esattamente come le mie, ma lo guardo in modo amichevole, con lo sguardo di uno su cui si può fare affidamento. Ma dopo poco si interrompe, mi guarda negli occhi, dice: “ma a te sembra proprio non sia venuto a noia star qui ad annotare le stupidaggini che avvengono. Forse hai un segreto, che so, qualcosa per cui sentirti bene anche a non far niente, oppure sei a conoscenza magari delle vere ragioni per stare in un luogo di questo genere”. Sorrido, non devo dire nulla, ripeto mentalmente, così guardo avanti a me e spiego che probabilmente ho un’affinità quasi inspiegabile per certi compiti. “Sto bene qui”, gli fo; “probabilmente svolgere questo mestiere mi fa sentire a posto anche con gli altri”. Dopo un attimo lui volge lo sguardo, annuisce, tira la leva di apertura dello sportello. “D’accordo”, dice; “allora buon lavoro”, e in questo modo scende e se ne va.

Bruno Magnolfi

Strane affinità.ultima modifica: 2019-04-01T20:13:30+02:00da magnonove
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