"Progetti di normalità", di Bruno Magnolfi

Contrastato, immotivatamente.

 

Loro lo guardano con insistenza, più che altro per rendersi conto se sia davvero capace di fare improvvisamente qualcosa di strano proprio da un attimo all’altro, esattamente come si aspettano tutti. Invece in questa manciata di minuti non accade un bel niente, anche se lui prosegue a stare fermo in un angolo e poi sembra riflettere qualcosa di importante, come se in questo frangente non ci fosse altro da fare, oppure se quel suo semplice riflettere fosse già largamente sufficiente a mostrare tutto il suo impegno a passare per uno come tutti i presenti. Qualcuno intorno parla sottovoce, dice che forse non ci sarà da aspettarsi niente di buono, ma l’aria di chi si è rintanato là dentro sembra tranquilla, nessuno pare abbia voglia di rompere quell’atmosfera di sospensione che aleggia nella grande sala d’attesa. Allora lui compie un gesto, un’azione forse un po’ ambigua, allunga un braccio come per indicare un punto, una zona, una parte verso cui guardare, ma chi si volta seguendo quel segno della mano nell’aria, non vede proprio niente, non rileva nulla che possa mostrare un senso definito. Lui quindi si alza, procede piano verso la spessa vetrata, osserva la realtà che si snoda fuori da lì, come se ci fosse qualcosa di cui prendere nota.

“Oramai stiamo tutti qua dentro”, dice qualcuno a voce più alta per mostrare agli altri quel pietismo che, secondo colui che sta parlando, forse conviene assumere quando ci si rende conto che tutto il resto non ha più molta importanza. “Non è vero”, dice lui all’improvviso; “qualcosa di noi è rimasto là fuori, ed anche se lo ignoriamo possiede comunque una valenza innegabile”. Si muove dalla sua posizione, e con un solo sguardo accoglie tutti i presenti dentro la sua prospettiva, poi torna ad indicare qualcosa, oltre quel vetro che sembra dividere un mondo dall’altro, forse solamente un punto o una macchia sul muro di fronte, di là dal chiuso di quella sala dove adesso si sono radunati, e che secondo il suo parere conserva un dato importante, come un fregio che indichi quello che potrebbe essere stato, qualche tempo addietro, o forse quello che potrà essere, magari tra non molto. Nessuno però sembra abbia più voglia di dargli davvero retta: alcuni alzano addirittura le spalle in un gesto che è come per togliere di mezzo quell’importanza che fino ad un attimo prima gli avevano concesso, ma a lui sembra non importare per niente, tanto che dopo un secondo torna a sedersi, ed a lasciare agli altri la possibilità di guardarlo di nuovo, sempre che ne abbiano ancora la voglia, seppure magari con meno insistenza.

Il suo vicino di posto dice con voce volutamente bassa che non c’è niente sul muro, che nessun segno sembra sia rimasto ad indicare qualcosa di importante. “Vi sbagliate”, fa lui di getto. “C’è una macchia, una semplice chiazza che pare muoversi. E’ viva, probabilmente, è qualcosa che non saremo mai in grado di afferrare e comprendere, ma mostra con semplicità la statura di quello che siamo ormai diventati: dei piccoli esseri, uomini e donne sgraziati, senza criterio, quasi incapaci di ragionamenti più alti”. Intorno ammutoliscono tutti. La contrapposizione tenuta in vita fino a questo momento tra lui e loro sembra improvvisamente annullarsi: ognuno dei presenti adesso guarda quel muro, forse nota davvero la macchia estesa che effettivamente sembra muoversi, che produca gli effetti suggeriti, e mostra quanto sia difficile dare tutto per scontato, credere di essere giunti ad una fase senza più variazioni. “Dobbiamo cambiare opinione su tutto”, dice qualcuno; “se appena consideriamo questo aspetto indicato come qualcosa di vero”. Poi tutti si stringono nelle spalle, ognuno per conto proprio. Nessuno alla fine sembra ancora prendere in considerazione quello che lui ha fatto presente. Anche se forse ha pienamente ragione.

Bruno Magnolfi

Contrastato, immotivatamente.ultima modifica: 2020-11-16T20:07:17+01:00da
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