"Progetti di normalità", di Bruno Magnolfi

Uno che guarda.

 

Tutto insieme non si comprende, però poco per volta il senso può anche apparire chiaro. Questo pensa lui, mentre esce da casa, di nascosto, scivolando alla sera tardi quasi come fosse un ladro lungo le strade del suo quartiere, nel tentativo di non farsi sorprendere mentre prende una semplice, innocua, doverosa boccata d’aria. Ha trascorso la giornata sul suo terrazzino al terzo piano, ha telefonato a quasi tutte le persone che conosce, ha cercato di affrontare con loro ogni argomento, ha scavato il più possibile dentro di sé nella ricerca di dare a tutti nuove opinioni, differenti significati, i più svariati sensi alle proprie parole; infine si è fermato, ed ha sentito improvvisamente l’assenza degli argomenti e l’inevitabile conseguente solitudine ricadere su di lui. Allora ha guardato la strada sotto casa sua, ed ha notato ad un tratto qualcosa che forse non si sarebbe mai aspettato. Ha visto se stesso in carne ed ossa muoversi lungo il marciapiede: un suo secondo lui andarsene tranquillo tra i negozi aperti e le case della sua città. Camminava lentamente quella sua controfigura, quasi senza un vero scopo, cercando di ripercorrere esattamente il tragitto più usato da tutti, forse nel tentativo di mettere a fuoco adesso parecchi di quei particolari che normalmente alle persone paiono sfuggire.

Per questo, quando lui è uscito veramente dal suo appartamento a sera tardi, ha cercato di ritrovare quei dettagli che aveva soltanto immaginato durante il giorno dal suo terrazzino, e con sua grande sorpresa li ha rintracciati quasi tutti. Così ha provato di nuovo, e si è accorto con stupore di riuscire a tirar fuori dalla propria semplice memoria molti più elementi di quanti mai avrebbe previsto. Quasi un gioco quello di proiettarsi in una situazione e tentare soltanto con la mente di visualizzare tutto ciò da cui ci si ritiene circondati, però talmente interessante da portarlo, lui che ha sempre vissuto soltanto di fatti e di cose concrete, a prendere degli appunti veloci e a sviluppare dei veri disegni su quanto ritiene di vedere quando pensa alle strade e alle case della sua città. Ha preso poi una vecchia cartina stradale, ed ha cercato di ricostruire passo dopo passo tutti gli edifici che secondo il suo parere si mostrano presenti lungo quelle vie. A riprova di tutto è tornato ad uscire nottetempo, e si è reso conto naturalmente di aver commesso alcuni errori, ma nell’insieme della massa dei dettagli di non essersi mai discostato molto dalla verità. Perciò ha iniziato con calma a ricostruire con la mente l’intero quartiere.

Fantastico riscrivere completamente tutto ciò che non si può vedere di persona, pensa adesso; certamente un esercizio impegnativo, però qualcosa che porta a figurarsi di fronte a sé mille dettagli a cui non si è dato in precedenza mai alcuna importanza. Alla fine, con tutta l’attenzione che necessita questo compito, lui si sente continuamente calato quasi in una realtà del tutto virtuale, anche se molto vicina a quella vera, tanto da telefonare a qualche amico per chiedere loro cosa ricordassero di una certa piazza, di un negozio lungo il viale, o della facciata di qualche noto edificio. Strane domande, buffo modo di impegnare la memoria, però in fondo una maniera come un’altra, pur così inventata, di uscire di casa, di farsi qualche passeggiata senza muoversi, di usare meglio la propria capacità di vedere tutte le cose, e di imparare poco per volta ad osservare meglio e con maggiore attenzione ogni particolare intorno a sé.

Bruno Magnolfi

Uno che guarda.ultima modifica: 2020-04-20T16:55:06+02:00da
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