"Progetti di normalità", di Bruno Magnolfi

Un vecchio senza nome

La sua infanzia per strada se la ricordava costellata di piccoli, scuri, insignificanti, uomini anziani, lenti e silenziosi, che abitavano in qualche casa lungo la strada dove abitava anche lui. Da ragazzi, quando giocavano a pallone nella polvere di un campetto sterrato poco distante, quei vecchietti guardavano, ma senza un grande interesse, girellando attorno come evitando di dare noia, abbozzando appena un sorriso quelle rare volte che qualcosa o qualcuno facevano divertire tutti i presenti. Poi se ne andavano, sempre in silenzio, così com’erano apparsi, e nessuno dei ragazzi si preoccupava mai di indirizzare un saluto nei loro confronti, o di chiedere in giro quale fosse il nome di qualcuno di loro, perché tanto nessuno dei ragazzi aveva mai da chiamarli per nome. A volte i ragazzi tra loro dicevano, riferendosi a quei pensionati senza niente da fare: “quello piccino, col cappello sugli occhi”; oppure: “ quello che si vede di rado, con quella giacchetta marrone”. Erano in quattro o cinque, quel gruppo di vecchi, ognuno da solo, e se ne andavano in giro, senza far niente, con le mani affondate dentro alle tasche, qualcuno fumando una sigaretta ogni tanto, e nient’altro. Non erano niente, per tutti i ragazzi che abitavano dentro al quartiere, poco più di una presenza che non aveva alcuna importanza, e se c’erano o no la differenza non era neanche una cosa di cui fare caso. Poi un giorno, uno di loro, quello piccolo che aveva sempre un’espressione da timido, al margine del loro campetto da calcio, si era accasciato, senza dire parola. Non aveva parlato, come per non disturbare, non aveva chiesto aiuto, si era solo sdraiato sopra la terra, mettendo avanti prima le mani, poi lasciandosi andare su un fianco. I ragazzi erano tutti andati a vedere, interrompendo qualsiasi altra cosa: lo avevano scosso, chiamato, gli avevano anche girato la faccia per dargli più aria, per capire se era soltanto un leggero malessere, un mancamento che a volte gli uomini anziani potevano avere. Poi avevano cominciato a capire, in due erano corsi a chiamare qualcuno, qualcuno più grande di loro, e gli altri si erano messi attorno ma un po’ più distanti, forse per un rispetto che neanche loro sapevano dove trovare. All’improvviso, nell’espressione dell’uomo appoggiato sopra la terra, c’era la condizione di tutti, tutti coloro che giocavano, ridevano, fingevano di stare al di sopra di tutto, e invece adesso erano lì, assieme a lui, nella condizione e nel destino di tutti, durante un pomeriggio qualsiasi, vicino a persone che non sapevano neppure il suo nome. Se n’era andato quel vecchio, così, senza dir niente, lasciando a ricordo di sé quella sua espressione bonaria, quel silenzio, quella presenza senza disturbo, quella timidezza di anziano che i ragazzi non avrebbero dimenticato mai più.

Bruno Magnolfi

Un vecchio senza nomeultima modifica: 2009-10-12T21:15:25+02:00da
Reposta per primo quest’articolo